Il 9 novembre di trent’anni fa il Muro di Berlino si sgretolava ai piedi della Storia: il Comunismo era in bancarotta fraudolenta. Era finito il “secolo breve” e con il crollo della cortina di ferro finì non solo simbolicamente la Guerra Fredda, ma anche la lunga divisione in blocchi imposta dalle logiche del post-Yalta. Stati Uniti e Patto Atlantico oppure Unione Sovietica e Patto di Varsavia. E anche in Italia il 1989 ha avuto impatti rilevanti. L’evento è tra le maggiori cause della transizione che poi porterà al nuovo assetto politico, la cosiddetta Seconda Repubblica. Nel novembre 1989, «il Comunismo reale ammetteva il suo definitivo fallimento», ha scritto Gianfranco Pasquino (Le parole della politica). La caduta del Muro non rappresentava solo la liberazione di milioni di persone dal dominio sovietico, ma anche il via libera della comunicazione tra Est ed Ovest.
Tre decadi fa, i cittadini di Berlino Est ed Ovest iniziarono la demolizione non solo fisica del Muro, ma anche l’abbattimento delle frontiere comunicative. L’accelerazione digitale nella vita degli individui è stata avviata anche dalla fine del mondo diviso in blocchi. Il 1989 è anche questo: uno spartiacque tra analogico e digitale. Continua Pasquino: «I regimi autoritari cambiano quando non sono capaci di controllare lo sviluppo, economico, sociale e anche politico, che produce pluralismo e che spinge, grazie a una popolazione divenuta più esigente, verso transizioni alla democrazia. Il totalitarismo comunista, non soltanto a causa della sua ideologia, ma anche attraverso la propaganda dei dirigenti, aveva promesso di costruire l’uomo nuovo e, soprattutto, di garantire sviluppo, prosperità».
“Caduta del Muro” vuol dire anche questo. Un palese richiamo non tanto del trionfo del capitalismo, ma al fallimento comunista. E sì che di chance il Comunismo ne ha avute parecchie, anche perché non c’è stato un solo Comunismo. Il Comunismo di Stalin era diverso da quello di Nikita Krusciov. Che a sua volta era diverso da quello di Leonid Brežnev, a sua volta diverso da quello di Mikhail Gorbaciov. Il Comunismo di Alexander Dubček era diverso da quello di Gustáv Husák. Quello di Mao Zedong era diverso da quello di Deng Xiaoping. Il Comunismo di Wojciech Jaruzelski era diverso da quello di János Kádár. Quello di Erich Honecker era diverso da quello di Nicolae Ceaușescu. Il Comunismo di Ho Chi Minh era diverso da quello di Tito Broz. E quello bulgaro era diverso da quello coreano, così come quello cambogiano era diverso da quello in Laos.
Ci sono stati diversi tipi di Comunismo e nessuna sua declinazione in diverse nazioni e in diversi periodi storici ha portato benefici che prometteva. Nessuno. Solo terrore, oppressione, miseria e morte. Non c’è mai stato un Comunismo “buono” nella pratica. Ecco perché con la caduta del Muro cade un Comunismo, quello gorbacioviano, ma a ruota lo seguono gli altri comunismi, colpevoli di essere arrivati alla fine della Storia e aver fallito nella loro missione. Una vera e propria bancarotta fraudolenta pagata con i soldi e il sangue di molti cittadini. Risuona quasi denigratorio il tentativo di aggrapparsi ad un Comunismo utopico, quando decine di comunismi sono stati applicati e hanno generato disastri di ogni genere e ovunque. Chiunque dica – come molti hanno sostenuto sotto la bandiera con la falce e il martello in Occidente – “noi eravamo diversi”, si appella ad un qualcosa che non esiste.
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su Immoderati)