Il Dragone non fa abbastanza paura

Il Dragone è di fronte ad una frenata economica? Dopo decenni di crescita eccezionale, il 2019 segna per la Cina di Xi Jinping il primo vistoso declino dell’economia. Questa, tuttavia, ben lungi dall’essere considerata in crisi. La Cina si è arricchita molto negli ultimi anni: tra il 1979 e il 1983, circa ottocento milioni di cinesi registrarono un aumento del loro reddito del settanta per cento. Sotto le riforme di Deng Xiaoping, l’agricoltura crebbe dell’otto per cento, il settore industriale del dodici. Arricchirsi era glorioso, come disse. E con lui la Cina, la nuova Cina, ha gettato le basi per diventare la potenza che vediamo oggi. Quello che tuttavia è rimasto invariato per quarantanni è il ruolo dello Stato, signore dell’economia, che ha coordinato lo sviluppo con fare autoritario. Mischiando (il peggio del) capitalismo e Comunismo. Ovunque nel paese, il governo usa il riconoscimento e scheda le persone.

Questo conferisce al Dragone sembianze di tirannia orwelliana in crescita costante. Tra il 1999 e il 2001 la Cina negoziava l’entrata nell’Organizzazione Mondiale del Commercio. La membership cinese nelle organizzazioni internazionali è passata dal settantuno nel 1977 a 1163 nel 1997. E inizialmente, nonostante l’interventismo di Deng, la PRC restava comunque poverissima e perciò il WTO disegnò agevolazioni protezionistiche ad hoc per il gigante asiatico che sono all’origine dei surplus accumulati dal Dragone e quindi oggetto di lamento delle altre economie. I dazi voluti da Washington danneggiano i cinesi, ma in primo luogo i cittadini americani, costretti a pagare di più lo stesso prodotto per sostenere il pesante macigno tariffario. L’obiettivo dei dazi americani contro Pechino non è solo commerciale. È innanzitutto il tentativo di rallentare Pechino in termini di produzione tecnologica, l’area dove si giocherà il futuro dell’economia.

Il rapporto tra Cina e Stati Uniti è d’altra parte complesso. Il valore di beni e servizi tra i due era di un miliardo nel 1980 e centoventi miliardi nel 2000. Alberto Forchielli (Il potere è noioso), ha scritto che gli americani «spendono per fare le guerre, mentre la Cina con un decimo dei soldi compra i paesi. È una strategia più intelligente […]. Comprare i paesi anziché bombardarli è più semplice, costa meno e non fa morti. I cinesi hanno capito tutto». È anche così che la Cina è diventata il più grande mercato del mondo per molti prodotti, sorpassando gli Stati Uniti nella produzione di birra (nel 2002), automobili (2009) e smartphone (2011). Comprare e comprare: comprare il più possibile. Il tutto nel silenzio più assoluto. E anzi: nell’ammirazione di molti, tra cittadini e governi, che firmano memorandum e si compiacciono della crescita cinese.

Successo economico dettato anche dal fatto che la Cina non ha avvertito o quasi la crisi del 2007-2008. Con lo Yuan basso, il Dragone è riuscito a gestire efficacemente le sfide che hanno gettato in stagnazione l’Occidente. Proprio nel 2011-2012 (crisi dell’Euro) la Cina si è dimostrata l’unica grande economia a crescere ad un ritmo invidiabile. Tra il 2008 e il 2011 il PIL americano è cresciuto dell’1.8 per cento; quello cinese del diciotto. Dieci volte tanto. Negli ultimi quattro anni l’andamento del PIL cinese ha avuto un’oscillazione dello 0.8 per cento. Fino al marzo 2019, in Cina, la crescita si è attestata al 6.4 per cento, secondo il Rhodium Group. Il mancato multilateralismo è l’accusa principale di Washington nei confronti della Cina. In passato, ad esempio, questa inondava il mercato inglese di merci, ma non comprava nulla da Londra. La Corona decise di fare una grande operazione di narcotraffico.

Invase il mercato cinese di oppio, con la benedizione di Sua Maestà. Questa vicenda dimostra che la Cina è tutt’altro che invincibile, ma l’ascesa del Dragone dovrebbe far riflettere l’occidente. Secondo la WTO, l’export cinese è passato da ventisette milioni di dollari nel 1985 a 148 dieci anni dopo; nel 2005 passò da 761 miliardi a 2.3 triliardi nel 2015. Altrettanto preoccupante è lo share che la Cina ha del PIL mondiale: 4.1 per cento nel 1988, 6.9 nel 1998, dodici nel 2008, 18.7 l’anno scorso. Il ruolo più grande della Cina che interessa gli altri attori geopolitici è il flusso di capitali che Pechino ha predisposto in Occidente. In Cina sono pronti a combattere la competizione economica del futuro. Il Dragone sputerà ancora fiamme.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su Immoderati)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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