Statista e drammaturgo protagonista della dissidenza cecoslovacca, candidato unico allo smantellamento del Comunismo a Praga, liberaldemocratico europeista e protagonista dell’Occidente nei primi anni Duemila, Václav Havel era una figura complessa e poliedrica. Ebbe la fortuna di essere considerato un monumento non da morto, ma da vivo. Sia da gran parte della popolazione cecoslovacca, che da quella occidentale, che imparò a guardare al politico boemo con curiosità e ammirazione. Al Congresso degli Stati Uniti, un suo busto celebra le sue battaglie per la libertà e la dignità dell’uomo. Havel era uno dei giusti che vinsero la battaglia contro il totalitarismo e si erano spesi per il trionfo dell’individuo e dei suoi diritti. Nonché delle sue responsabilità da assumere a livello sociale. Dalla Cecoslovacchia umiliata dal Comunismo, con la non-violenza e la resistenza silenziosa riuscì restaurare dignità al paese dopo la Rivoluzione di Velluto.
L’attivismo di Havel, l’intolleranza verso gli intollerati, l’amore per gli ultimi e i deboli, l’affezione per la libertà, la responsabilità individuale nella società, iniziarono a manifestarsi presto nel giovane borghese nato nel 1936 in una Cecoslovacchia prossima alla cannibalizzazione di Monaco. Da adolescente, iniziò a comporre pièce di teatro. Studi superiori alle serali, di giorno faceva il carpentiere; poi, l’assistente di laboratorio. All’Università Tecnica di Praga studiò corsi di economia dei trasporti. Conclusa l’esperienza militare nel 1959, iniziò a lavorare al teatro Alla Ringhiera. L’uso del teatro come strumento di denuncia politica si sarebbe trasformato in un tratto distintivo. Gli esordi di Havel nel mondo teatrale furono colti da Angelo Maria Ripellino. L’autore di Praga Magica si espresse a favore del giovane talento. Tra il 1959 e il 1969 l’attività drammaturgica di Václav Havel si fece intensa.
Tuttavia, all’apice degli anni Sessanta e della Guerra Fredda i carri armati sovietici che invasero Praga presentarono il conto alla Cecoslovacchia riformista e posero fine alle ambizioni artistiche di un’intera generazione. Alexander Dubček, succeduto a Antonín Novotný, fu rimpiazzato da Gustáv Husák. La vita artistica fu scandita dalla propaganda del Politburo. Negli anni brezneviani, la normalizzazione purgò intellettuali e dissidenti. Già pochi prima della repressione sessantottina, i superstiti furono costretti a lavorare ai margini della città. Tra questi, anche Václav Havel, estromesso dalla vita culturale, anche per via dei primi successi teatrali di “The Garden Party” (1963) e “The Memorandum” (1965). A metà degli anni Sessanta, Havel entrò al giornale Tvár, dove conobbe Václav Klaus. Il 9 luglio 1964, sposò Olga Šplíchalová, musa e amore di una vita, stabilizzatrice della sua intricata esistenza. I genitori borghesi non tollerarono che il pupillo sposasse una donna di classe sociale inferiore.
Luna di miele nei pressi di Karlovy Vary. Olga ebbe sin da subito una grande influenza sulla personalità mite del marito. Nata nel quartiere operaio di Žižkov a Praga, incontrò il giovane Václav al Caffè Slavia sulla Moldava. Fu amore a prima vista. Molti poi avrebbero detto che Olga era stata più una madre che una moglie; giudizio non interamente infondato. Leale al marito, nel 1990 Jane Fonda doveva interpretarla nel film “Vaclav and Olga”. L’idea non dispiaceva ad Havel, ma la moglie si oppose. La storia d’amore fu testata al momento del primo arresto del dissidente Václav, il 29 maggio 1979. Le attività culturali sotterranee di Havel si fecero sempre più fastidiose per il regime comunista. Con Jan Patočka, Zdeněk Mlynář, Jiří Hájek e Pavel Kohout, compose Charta 77. Negli anni Settanta-Ottanta, decine di dissidenti furono incarcerati.
Havel uscì di prigione 1351 giorni dopo l’arresto. Il 7 gennaio 1980, tre anni dopo Charta 77, tornò in galera; a Ostrava e poi a Plzeň. In preda alla noia, tentò di migliorare il suo inglese e tedesco, con risultati scarsi, per sua stessa ammissione in una delle lettere ad Olga. Tre anni e un mese dopo uscì dal carcere, dove aveva letto la Bibbia e l’Introduzione al Cristianesimo del Cardinale Joseph Ratzinger. Sempre in prigione incontrò Dominik Duka, poi cardinale. Diversi intellettuali e autori – da Friederich Dürrenmatt ad Arthur Miller, da Yves Montand a Kurt Vonnegut, da Günter Grass a Harold Pinter, da Saul Bellow a Tom Stoppard avevano firmato una petizione per la sua scarcerazione. In carcere Havel sviluppò la possibilità di affinare i suoi interessi letterari. Negli anni apprezzò John Steinbeck e Edgar Allan Poe, Walt Whitman e Edgar Lee Masters.
Il 17 gennaio 1989, Havel fu arrestato per aver commemorato Jan Palach e l’atroce gesto dello studente in Piazza Venceslao nel 1969. Inaccettabile per il regime, che non avvertiva il cambio di aria a livello internazionale. Il 17 maggio Havel entrò nel carcere di Pankrác. Liberato in autunno, fece una festa con amici, tra cui giornalista di TIME Walter Isaacson e Dubček, re-integrato in società, ma non negli apparati partitici. Quando crollò il Muro di Berlino, Havel era a Hrádeček, nella sua casa di campagna, già quartier generale informale dei dissidenti. Il 19 dicembre 1989 gli aderenti a Charta 77 crearono il Forum Civico al Cinoherni Klub. Dieci giorni dopo, il drammaturgo Václav Havel chiuse l’era Husák e venne eletto Presidente della Repubblica. Tra i primi viaggi del presidente, Berlino e Monaco – mete simboliche di un riavvicinamento alla Germania dopo i drammi di mezzo secolo prima.
Poi Londra e Parigi. Non si recò in Slovacchia, cosa che gli costò impopolarità a Bratislava. Il 1° luglio 1991 annunciò la fine del Patto di Varsavia. A Bonn propose la cittadinanza agli ultimi Sudeti, rimarginando le ferite dei decreti di Edvard Beneš. Il grande rappacificatore inanellava un successo politico dopo l’altro. A lavorare al Forum Civico per qualche tempo ci fu anche Klaus, in seguito il padre delle riforme economiche, passionario di Margaret Thatcher. Su diversi aspetti si scontrò sia da Ministro delle Finanze che come Primo Ministro con il Presidente della Repubblica Václav Havel, che in più occasioni lo definì un furbo senza scrupoli. I brillanti successi nazionali ebbero proiezioni internazionali in termini di immagine del paese. Dopo la fine delle speranze legate al referendum sulla scissione della Slovacchia, rassegnato, Havel firmò la secessione con Bratislava.
Lo stato nato dalla Prima Guerra Mondiale nel 1918 per volontà di un presidente-filosofo, Tomáš Masaryk, si spaccava per la non-volontà di un presidente-drammaturgo. Come Masaryk, Havel si era conquistato livello nazionale e internazionale prestigio e autorità morale. Nello 1990 visitò gli Stati Uniti. Poco prima della normalizzazione sessantottina era andato in America a presentare una sua première a New York e dagli States si era portato tanti poster che appese nel covo di Hrádeček. In To the Castle and Back spiegò che il soggiorno statunitense lo influenzò molto, ma l’esperienza americana più intensa la provò ventidue anni dopo, dopo la fine del Comunismo, come capo di una nuova repubblica, servitore del paese e non servo dello Stato. Incontrò anche Mikhail Gorbaciov: gli disse che la Cecoslovacchia non era più un satellite dell’URSS. Il leader del PCUS rispose che “satellite” era una parola imprecisa, ma che gliel’avrebbe perdonata.
Nel 1996 Olga morì e a Havel fu diagnosticato un tumore – la conseguenza di aver fumato per oltre quarant’anni. Il giorno dell’operazione offrì un giro di grappa a medici e infermieri. Il 20 gennaio 1998 tornò nuovamente Presidente al Castello. Nel 2005, prese in affitto una casetta a Georgetown. Qui invitava a cena, tra gli altri, l’amica Madeleine Albright. Il consenso attorno a Havel in America era bipartisan: fu il repubblicano George W. Bush a insignirlo della medaglia presidenziale della libertà nel 2003. Ammiratore e poi amico di Lou Reed, ospitò gli Stones in uno storico concerto a Praga. Fece erigere una grande statua di Michael Jackson nello stesso luogo dove per oltre due decadi c’era un enorme Stalin di bronzo. Nel 1990, accolse anche Frank Zappa e gli disse di volerlo fare inviato della Cecoslovacchia per la cultura e il turismo.
La Cecoslovacchia del tempo ha un grosso debito nei confronti di Václav Havel, che assicurò una transizione pacifica da un sistema centralizzato e dittatoriale, ad uno libero e democratico, nonché l’entrata della Repubblica Ceca nella NATO e nell’UE. I meriti dello statista ceco, icona dei diritti umani, fautore del concetto di responsabilità nella e della politica, così come della nozione di “vivere nella verità”, sono indiscutibili. I valori per i quali Havel si batté – il poter dire la propria opinione, l’alzare la mano per dissentire, l’essere anticonformista per convinzione e non per moda, il responsabilizzarsi nella società – sono sempre attuali. Lo statista della pace, il drammaturgo-presidente, si è sempre espresso a favore della centralità dell’individuo, dell’unico sulla massa. Della diversità opposta all’ottusa macchina totalitaria e collettivista, dell’individualismo ottimista opposto al Socialismo tirannico.
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su Mitteleuropa)