La Cecoslovacchia di De Gaulle, tra Beneš e i due Sessantotto

I legami tra Charles De Gaulle e la Cecoslovacchia sono scanditi dall’esilio londinese del Generale con Edvard Beneš e le reazioni di fronte ai “due Sessantotto” del Novecento. Quello del maggio francese e quello della Primavera di Praga. Sebbene De Gaulle non fosse mai stato in Cecoslovacchia, conosceva bene l’importanza strategica del paese per gli equilibri europei, la sua fame di democrazia tra le due guerre mondiali, nonché i legami storico-culturali della Francia con la repubblica centroeuropea. D’altra parte, dei paesi del Patto di Varsavia aveva visitato solo la Polonia, nel 1967 e la Romania l’anno dopo. Se le circostanze storiche hanno collegato Beneš a De Gaulle, il generale francese quest’ultimo aveva più similitudini con Tomáš Masaryk. De Gaulle mostrava un patriottismo pronunciato e l’affezione alla propria patria. La sua politica di grandeur era una manifestazione evidente della tendenza di mettere la Francia e la sua cultura sopra le altre.

D’altra parte, il fiero patriottismo di Masaryk non era il superbo nazionalismo del Generale, che rischiava di ergersi sopra gli spiriti delle altre nazioni. Masaryk era più vicino al patriottismo in senso classico. La sua Cecoslovacchia era uno Stato tra gli Stati, non uno Stato sopra gli Stati. Se Masaryk è ricordato come il padre della Prima Repubblica Cecoslovacca, De Gaulle è quello della Quinta francese, che tuttavia non dovette costruire da zero. La Cecoslovacchia di Masaryk del tempo e la Francia degli anni Cinquanta erano entrambi paesi instabili. Forse i disegni per conferire vigore al paese, De Gaulle li progettava già in esilio a Londra. Qui, con Beneš si trovò a gestire da remoto la rappresentanza del proprio paese, occupato dai nazisti. Dal canto suo, Beneš non faceva mistero di essere francofilo, ma sapeva bene che per riavere indietro il suo paese avrebbe dovuto trattare con Stalin.

Con De Gaulle i rapporti furono molto buoni: i due si erano incontrati diverse volte a discutere delle sorti politiche europee. Si stimavano: c’era intesa, sebbene Beneš non fosse un militare. Condividere il nemico e voler liberare la propria terra, erano tra gli elementi che avvicinava gli interlocutori. De Gaulle ha sempre mostrato grande sintonia e solidarietà con l’alleato cecoslovacco. La Repubblica Cecoslovacca era stata fondata da poco, mentre la République della liberté-égalité-fraternité aveva una tradizione secolare. L’umiliazione dell’invasione nazista spinse il Generale a dialogare con tutti pur di avere indietro la sua Francia. De Gaulle si impegnò a lottare con Beneš per l’indipendenza della Cecoslovacchia, una volta conclusasi la guerra. In passato, la Francia di Édouard Daladier si era dimostrata più scettica della Gran Bretagna di Neville Chamberlain durante gli accordi di Monaco del 1938, ma in nome dell’alleanza tra i due paesi, finì col rifugiarsi nell’appeasement.

«Capitoliamo senza combattere alle richieste spudorate dei tedeschi e tradiamo i cechi, nostri alleati, in balia di un nemico comune», scrisse De Gaulle alla moglie. L’opposizione di De Gaulle al diktat di Monaco era nota in Francia. Il Generale era uno dei pochi della classe dirigente francese che si era opposto alla cannibalizzazione della Cecoslovacchia. Per timore di essere tradito di nuovo dagli stati occidentali, Beneš avrebbe stretto alleanze e accordi sia con Gran Bretagna e Francia, ma anche con l’URSS. Le cicatrici di Monaco erano ancora impresse nella mente dei cecoslovacchi. Come Masaryk, Beneš aveva bisogno di vicini stabili e pacifici. Seppur lontana, la Francia tendeva la mano in questo senso. La scelta di dialogare anche con l’URSS non fu dunque colta con sorpresa dalle potenze occidentali, dal momento che il Cremlino si era fatto progressivamente garante dell’Europa Centrorientale. Mosca esercitava fascino su Beneš: e De Gaulle lo sapeva.

De Gaulle stimava Beneš. Nelle sue memorie di guerra, lo descrive come un uomo coraggioso e con una fede notevole nelle proprie capacità. Scrisse inoltre che aveva un intelletto indiscutibile: diligente e caparbio. Il lettore potrebbe rimanere disorientato a leggere le memorie del Generale, che di solito era severo nei confronti degli alleati. Con Beneš era diverso. «Le conversazioni infinite con Beneš sono state grandi lezioni di storia e politica. Era instancabile e non annoiava mai i suoi ascoltatori». Il 29 settembre 1942, De Gaulle respinse l’accordo di Monaco e si impegnò a fare tutto il possibile per ripristinare la Cecoslovacchia entro i confini pre-conferenza. Il che era anche una mossa politica per assicurarsi influenza nell’Europa Centrale. Dopo la Liberazione della Francia nel giugno 1944, il governo cecoslovacco in esilio fu tra i primi a riconoscere il governo ad interim del Generale, a testimonianza delle buone relazioni Praga-Parigi.

Dopo la guerra, De Gaulle ricambiò: voleva fare di Praga la prima città liberata dove da capo di Stato si sarebbe fatto rappresentare. E infatti, nel 1945 fui Philippe Leclerc a varcare la capitale boema e portare gli omaggi del capo del governo. I legami con la Cecoslovacchia si sarebbero appalesati in un altro momento cruciale della parabola di De Gaulle. Nelle vesti di Presidente della Quinta Repubblica che aveva creato, il Generale ha vissuto due Sessantotto. Quello domestico del maggio francese e quello della Primavera di Praga nell’agosto 1968. Accusato di autoritarismo dai sessantottini che acclamavano Mao Zedong, De Gaulle fu duro nei confronti degli atti di rivoluzione domestica che sconquassava Parigi. Certo, fece qualche concessione, ma la cosa finì lì e senza spargimenti di sangue. Nulla a che vedere con il Sessantotto praghese, dove i giovani volevano la libertà in quanto tale e importanti riforme del sistema comunista.

A Praga si avviò la normalizzazione, che fece ritornare il paese nell’immobilismo comunista. Le prese di posizione di De Gaulle nei confronti del paese amico furono aspre, ma d’altra parte in linea con il suo carattere di sincero democratico. Accusato di autoritarismo in patria, il Generale condannò l’intervento russo a Praga e ribadì i valori di libertà e tolleranza. Scosso dai tumulti in patria, gli episodi legati alla Primavera di Praga De Gaulle li seguiva con attenzione, come aveva fatto con la Cecoslovacchia trent’anni prima mentre le potenze europee consegnavano quest’ultima a Adolf Hitler. De Gaulle era stato lungimirante durante la stagione riformista di Alexander Dubček. Quello che stava facendo il governo di Praga «è bello, ma stanno andando troppo veloci e troppo lontano. I russi interverranno. Poi, come sempre, i cechi smetteranno di combattere e la notte scenderà su Praga. Ci saranno ancora alcuni studenti che si suicideranno».

Detto fatto: Jan Palach si sarebbe immolato nel gennaio seguente. La “notte” di De Gaulle aleggiò su Praga ancora per un quinto di secolo. Da conservatore, il Generale aveva capito che la classe dei riformatori stava andando troppo veloce: i cambiamenti degli assetti istituzionali richiedono tempo. E questa era l’opinione anche di un giovane dissidente dell’epoca. Quel Václav Havel che guardava con speranza ai tentativi riformisti di Dubček. I cecoslovacchi, come nel 1938, volevano la loro indipendenza e libertà dai totalitarismi, ora di destra, ora di sinistra, che attanagliavano il paese. Il Generale fu generoso con il popolo cecoslovacco afflitto dalla repressione dei carri armati. Parlò della coesione morale della Cecoslovacchia nei confronti dell’occupante e della ripugnanza del paese di «accettare il ritorno all’asservimento». Il progetto di un’Europa che dall’Atlantico andava agli Urali, vecchio progetto del masarykiano De Gaulle, con la primavera di Praga si era eclissato.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su Progetto Repubblica Ceca)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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