Emil Hácha, traditore o patriota?

Emil Hácha è uno dei personaggi più controversi della storia della Cecoslovacchia. Traditore o patriota? Ripensando alla tragica parabola che lo ha consegnato alla Storia, possiamo dire che non fu né l’uno, né l’altro. Per parlarne, occorre partire da lontano, vale a dire dagli accordi di Monaco del settembre 1938, quando Germania, Francia, Regno Unito e Italia decisero la mutilazione dei confini occidentali della Cecoslovacchia. Il presidente Edvard Beneš non era stato neppure invitato e quello fu un errore fatale per Londra e Parigi, che legittimarono la scellerata politica dell’appeasement. Tant’è che poi la Germania nazista, nel marzo 1939, in barba ai trattati per cui aveva ottenuto il territorio dei Sudeti, invase l’intera regione. La cessione dei territori al confine con la Germania nazista determinò, il primo ottobre 1938, il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica Cecoslovacca.

La cosa fu intollerabile per Beneš, che di lì a poco diede le dimissioni e in seguito espatriò a Londra. A succedergli, il 30 novembre 1938, fu il cattolico conservatore Emil Hácha. Vedovo dal febbraio dello stesso anno, laureato in giurisprudenza a fine Ottocento all’Università Carlo IV, avvocato, giudice della Corte Suprema Amministrativa nella Vienna post-Grande Guerra, dunque giudice nell’analogo organo a Praga. Era stato Tomáš Masaryk a nominarlo, nel 1925, Presidente della Corte. Specializzato in diritto internazionale, fine giurista, traduttore dall’inglese a ceco, Hácha era sinceramente convinto dell’indipendenza del territorio cecoslovacco dalla Germania nazista dopo il diktat siglato in Baviera. La tensione aumentò molto con il Reich fino alla primavera del 1939, quando il 13 marzo il fanatico e losco antisemita Jozef Tiso, leader del Partito Popolare Slovacco, venne convocato a Berlino da Adolf Hitler, che lo convinse a far votare al Parlamento di Bratislava l’indipendenza dalla capitale boema.

Vestito con tight scuro, la sera del 14 marzo Hácha prese il treno per Berlino per scongiurare l’invasione tedesca di Boemia e Moravia del giorno dopo. Arrivato nella capitale del Reich a notte fonda, incontrò il ministro degli Esteri Joachim von Ribbentrop. Era stato Hitler a convocare Hácha, che tuttavia attese il Führer per due ore. Una strategia diabolica per frustrare ancora di più l’anziano Presidente. Mentre Hácha aspettava, Hitler stava guardando un film. Il Führer era appassionato di cinema e andava a dormire molto tardi. Quando si palesò al vecchio Hácha, era oramai l’una e trenta di notte del 15 marzo. Hitler aveva fretta. Ancora di più ne aveva Hermann Göring, l’onnipotente e corrottissimo numero due del Reich che formulò al Presidente ceco un aut aut. L’invasione tedesca si sarebbe svolta in ogni caso, ma Hácha poteva decidere se cooperare o meno.

In caso di mancata collaborazione, l’aviazione tedesca avrebbe distrutto Praga. Hácha ebbe un attacco di cuore, tanto è vero che il medico di Hitler dovette fargli un’iniezione per farlo rinsavire. Con le spalle al muro, Hácha accettò di collaborare con il Terzo Reich. La Wehrmacht marciò su Praga nelle prime ore del mattino. Francia e Gran Bretagna non riconobbero l’invasione, ma neppure si schierarono con Beneš. La cosa non aveva importanza oramai: la Germania non poteva essere fermata; e meno di sei mesi dopo la guerra sarebbe tornata nel Vecchio Continente. La Seconda Repubblica Cecoslovacca era morta. Dal 15 marzo Hácha divenne Presidente del Protettorato di Boemia e Moravia, ma era un collaborazionista della rete nazista. «Per quello che ho fatto, la Nazione mi chiamerà traditore. Ma quale altra strada avrei potuto scegliere? Se non l’avessi fatto, ci avrebbero uccisi tutti», confidò Hácha ai suoi cari.

Sebbene disprezzasse la Gestapo, i rapporti con Konstantin von Neurath, governatore delle terre occupate dal 1939 al 1941, non furono pessimi. Hácha tentò di denunciare l’opera di totale germanizzazione del suolo ceco ad opera dell’ex ambasciatore tedesco a Londra, così come chiese il rilascio di alcuni prigionieri e studenti finiti in campo di concentramento. Le cose cambiarono il 27 settembre 1941 con l’arrivo di Reinhard Heydrich che sostituiva l’anziano barone, accusato di non essere abbastanza duro nei confronti della Resistenza ceca. Heydrich impose nel Protettorato un clima di terrore. Visto che la Bestia Bionda voleva piazzare i suoi uomini nei gangli dello Stato, Hácha, impotente, minacciò di dimettersi (senza poi farlo). L’arrivo dell’artefice della Soluzione finale a Praga scombussolò l’intera regione. Che, in ossequio al noto astio nazista nei confronti degli “inferiori” cechi, divenne la “fabbrica” del grande Reich.

Il 4 dicembre 1941 Hácha fece un discorso per radio al popolo ceco dove denunciava Beneš, cosa che venne percepita da molti come un enorme tradimento. Dopo l’attentato e morte di Heydrich, la Germania sapeva di aver perso uno dei suoi pezzi migliori nello scacchiere del nuovo Lebensraum. Per ingraziarsi i nazisti furibondi, nel maggio 1942 Hácha optò per attaccare nuovamente Beneš via radio. Lo descrisse come il nemico numero uno del Paese e il responsabile del malessere dei cechi. Se l’ex Presidente non fosse andato all’estero, disse Hácha, «la nostra patria sarebbe il luogo più benedetto e pacifico in Europa». Con l’arteriosclerosi dei vasi sanguigni cerebrali che degenerava sempre di più, Hácha si recò nuovamente a Berlino per negoziare con Hitler. Tuttavia, le inaspettate difficoltà sul fronte russo e l’entrata in guerra negli Stati Uniti resero il Führer isterico.

Nuovamente umiliato, Emil Hácha tornò a Praga e tentò di non peggiore la situazione pesante che gravava sul popolo ceco rifugiandosi nella politica dell’appeasement. Cercò di compiacere passivamente i nazisti che, nel frattempo, avevano polverizzato il villaggio di Lidice dopo la morte di Heydrich. Se già non godeva di popolarità quando fu eletto nel novembre 1938 Presidente della Repubblica, durante la guerra i partigiani cecoslovacchi e molti cittadini videro Hácha come un collaboratore dei nazisti. Hácha sopravvisse alla fine della guerra in Europa, l’8 maggio 1945, ma cinque giorni dopo le truppe sovietiche occuparono l’oramai ex governatorato e il giurista – prigioniero numero 3844 – finì nel carcere-ospedale di Pankrác, dove morì il 27 giugno 1945. Il funerale ebbe luogo tre giorni dopo; le sue spoglie si trovano a Vinohrady. È difficile formulare un giudizio storico unanime sulla figura di Hácha.

Ritenuto collaborazionista da alcuni e patriottico da altri, è un personaggio controverso. In un’opera del 1995 sul Presidente, gli scrittori Dušan Tomášek e Robert Kvacek spiegarono che egli anzitutto era un uomo sfortunato che divenne presidente di uno pseudo-stato vassallo. Di alternative Hácha non ne aveva molte. Per salvare la sua vita ed evitare il bombardamento tedesco di Praga parteggiò per i nazisti. Tuttavia, è giusto riconoscere che egli non solo doveva gestire il ricatto della micidiale Luftwaffe nei cieli praghesi, ma gestire le estenuanti pressioni indipendentistiche della Slovacchia, gli attacchi di Beneš da Londra e la gestione dello Stato. Tormentato, malato e sofferente, Emil Hácha credeva di non aver nulla a che fare con l’operato dei nazisti. Si dimostrava riluttante nel controfirmare i provvedimenti che gli venivano sottoposti dagli occupanti. Era convito che una collaborazione temporale con i nazisti avrebbe lenito l’aggressività tedesca nei confronti dei cechi.

Si sbagliava di grosso. Giocò la parte del temporeggiatore che si è prestato ad essere capo di un governo fantoccio. Il che non lo esime dalle responsabilità politiche e storiche che porta con sé. Vecchio e malato, non aveva la forza di scegliere l’esilio-resistenza da Londra che scelsero tra gli altri Beneš, Charles De Gaulle e Re Haakon VII di Norvegia. Non fu strumento attivo dei nazisti come Tiso o Philippe Pétain. Non fu eroico come Cristiano X di Danimarca che restò a Copenaghen e sfidò i nazisti. Debole per il ruolo che gli era stato affidato, Hácha – che poteva dimettersi – è ricordato per essere una figura malinconica sottoposto a scelte difficili. Traditore o un patriota? Nessuno dei due. Come molti sovrani, primi ministri, dirigenti dell’Europa del suo tempo, si trovò implicato in qualcosa di più grande di lui. E non si dimostrò all’altezza delle circostanze complesse.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su Progetto Repubblica Ceca)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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