Alberto Alesina, l’economista chiaro e anti-populista

Pavese con dottorato ad Harvard, saggista di fama, considerato dall’Economist un papabile futuro Premio Nobel per l’Economia già nel 1990, Alberto Alesina è morto ieri all’età di sessantatré anni a causa di un attacco cardiaco. Italiano apprezzato nel mondo, accademico ed economista, dal 1986 faceva la spola da un capo all’altro dell’Atlantico accolto nelle università statunitensi, così come la Bocconi, dove era visiting professor. Esperto di macroeconomia, scriveva di industria, welfare, Europa: in maniera chiara e semplice. Comprensibile per migliaia di lettori che lo leggevano sul Corriere della Sera dalla fine degli anni Novanta. Amico di lunga data di Francesco Giavazzi, con con il collega bergamasco il Nostro costruì il binomio “Alesina e Giavazzi”.

Attesissimi difatti gli editoriali della coppia bocconiana sul Corriere. Ai tempi del governo guidato da Mario Monti, i due professori esternarono a più riprese i problemi legati a troppe tasse a fronte di poche serie sforbiciate alla spesa pubblica (la cosiddetta austerità negativa). Ed è proprio a questa che, con Carlo Favero, Alesina e Giavazzi, hanno dedicato il libro Austerità. Quando funziona e quando no, con prefazione di Ferruccio de Bortoli. Sostenitore della controversa “austerità espansiva” – misura impopolare – Alesina non risparmiava le critiche costruttive al sistema-Italia. Dalle voragini del debito pubblico causato anche dalle distribuzioni a pioggia di danaro pubblico, fino alle pensioni anticipate.

«I deficit vanno compensati con attivi di bilancio quando l’economia va bene […]. Un Paese con un alto debito, posseduto in parte significativa da investitori esteri, non può usare il deficit per evitare o attenuare una recessione» (Corriere della Sera, 29 settembre 2019). Alesina aveva studiato troppo per non sottolineare le contraddizioni e i disastri economici nel lungo termine di certe politiche fiscali o commerciali. In uno dei suoi ultimi fondi a quattro mani con Giavazzi (CdS, 22 aprile 2020) si chiedeva: «Come può l’Italia minacciare di uscire dall’Europa e dall’Euro? Che cosa succederebbe se fossimo da soli? La liquidità dovrebbe fornirla la Banca d’Italia, e una Lira non ancorata all’Euro si svaluterebbe […]. Gli investitori esteri fuggirebbero spaventati dal rischio svalutazione, gli italiani, a meno che non glielo si impedisca per legge, investirebbero in euro e dollari. I nostri titoli perderebbero valore e i tassi sul debito pubblico schizzerebbero». Chiaro, semplice.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su L’Osservatore)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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