L’equilibrio responsabile di Mario Draghi e le riforme mancate

Settimana prossima il Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi lascerà il suo incarico all’istituto di Francoforte. A succedergli, l’ex direttrice del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde. Mario Draghi è forse la figura italiana più importante in termini di prestigio internazionale che l’Italia possa vantare. Prestigio che a livello politico gli è sempre stato riconosciuto quasi all’unanimità. Draghi potrebbe essere interpretato come il perfetto erede di Carlo Azeglio Ciampi, con il quale ha lavorato negli anni Novanta al Tesoro. Entrambi, governatori della Banca d’Italia ed europeisti. Vista la nuova maggioranza parlamentare, non è da escludere che il successore di Sergio Mattarella possa essere proprio l’ex Presidente della BCE. Pur mantenendo imparzialità, Draghi si è speso per tenere alto l’onore italiano. Specialmente nell’era dei sorrisetti di Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, interpretati come un’umiliazione non solo nei confronti del premier Silvio Berlusconi, ma di un intero paese.

Era il 2011. L’estate si era surriscaldata quando il Presidente della BCE di allora, Jean-Claude Trichet e quello della Banca d’Italia Mario Draghi avevano mandato al governo italiano la lettera sulle riforme strutturali. Succeduto a Trichet, nell’autunno 2011 Draghi si trovò ad affrontare la crisi dell’Eurozona. Dimessosi Berlusconi, arrivò Mario Monti. Sette mesi dopo, il neopresidente dell’istituto di Francoforte disse che avrebbe fatto tutto il possibile – «whatever it takes» – per salvare l’Euro. Draghi ha certamente fatto tutto il possibile, ma il target d’inflazione non è ancora soddisfacente e l’Unione Europea nel complesso si è tirata fuori dalla crisi. Il prezzo è stato alto: molti paesi fanno ancora fatica a raggiungere i livelli di produttività precrisi. Per quanto si sia attirato negli anni le aspre critiche di alcuni osservatori tedeschi, Draghi ha sempre goduto di un rapporto privilegiato e di stima con Merkel.

Difficile sarebbe stato azionare il cosiddetto bazooka – il Quantitative Easing – senza l’appoggio della prima economia dell’UE. Il QE è stato copiato dalla Federal Reserve, la banca centrale americana, che ha comprato parecchi titoli di Stato inondando il mercato di liquidità, consentendo credito facile. Ci vorranno anni per smaltire la liquidità iniettata nel mercato dalla BCE. Se quasi tutti i paesi hanno approfittato nella marea di liquidità per rilanciare la propria economia interna, l’Italia ha perso l’occasione per rilanciarsi. La liquidità sparsa sul mercato dal QE ammonta a 2600 miliardi di Euro. Nel 2016 Francoforte ha azzerato i tassi di interesse. Ora sono in territorio addirittura negativo: il che è un ulteriore stimolo a spendere la moneta. «La realtà è che abbiamo goduto, in questi lunghi e tormentati anni, di un ombrello monetario protettivo eccezionale», ha scritto Ferruccio de Bortoli (L’Economia, 15 luglio 2019).

«Abbiamo finito però per considerarlo uno “stato naturale” […]. Ci siamo adagiati sui nostri difetti, finendo poi […] per coltivarli». Se molti paesi europei hanno optato per più o meno dolorose riforme, Roma ha preferito galleggiare. Il risultato? Aumento del deficit e del debito, ma soprattutto la semi-assenza di riforme strutturali, nonostante le condizioni eccezionali offerte dalla BCE di Mario Draghi. Che sia di monito ai politici. «Una politica monetaria espansiva non rinvia le riforme, ma crea lo spazio per fare le riforme», ha detto il Presidente uscente il 20 settembre scorso all’università Bocconi in occasione dei settant’anni dell’amico Francesco Giavazzi. Mario Draghi è stato responsabile. Lo sono stati molto meno quelli che avrebbero dovuto incentivare i benefici di politiche monetarie eccezionali, nonché una revisione delle spese inutili e dannose.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su Immoderati)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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