«Può darsi che qualche personaggio dei nostri giorni si ritrovi nei detti, nei fatti e nei misfatti di quelli di allora. Gli è consento adombrarsi. Ma non illudersi: i cattivi di allora sono inarrivabili, a provare a specchiarsi ci si rende solo ridicoli». È questa la tesi portante di Sindrome 1933 (Feltrinelli 2019) di Siegmund Ginzberg: cercare di intravedere velate e sottili similitudini tra ieri e oggi. Certo, la nostra epoca è molto diversa rispetto a quella del 1933, anno della salita al potere dei nazisti in Germania. La speranza è quella che certi anticorpi sociali e democratici siano stati sviluppati da ogni individuo. Si respira una brutta aria in Europa: in più parti del libro, Ginzberg si dice preoccupato. Molti semplici episodi di cronaca sembrano un déjà-vu. «Ho l’impressione di aver già letto, già visto, già ascoltato» spiega Ginzberg; «ma in tutt’altra epoca e altro luogo».
L’autore mette in guardia rispetto ai movimenti antisemiti, antisistema, antiimmigrati, anticorruzione, anticapitalisti. Un partito-Stato che si scaglia contro i cittadini ritenuti “scomodi” è intollerabile e pericoloso. Ed è quello che facevano i nazisti. Tutto già sentito: anche Adolf Hitler “se ne fregava” dei vincoli dei trattati internazionali e dell’ortodossia economica. Il Führer e il suo partito si dichiaravano né di destra né di sinistra. Il NSDAP era nazionale, ma socialista, degli industriali e dei lavoratori. Rigorosamente tedeschi. Pochi, all’estero, si aspettavano la vittoria di Hitler. Lo controlleremo, si diceva. Sarà più moderato una volta al governo. Ha preso tanti impegni, spiegavano alcuni, quindi è come se non ne avesse preso alcuno. Potrà ristabilire l’ordine, tanto peggio di così, lasciamolo lavorare … Commenti che suonano troppo attuali. Il Führer e i suoi scagnozzi, tuttavia, non erano affatto moderati.
Il programma di governo – scritto a principio degli anni Venti nel Mein Kampf dettato a Rudolf Hess – fu rispettato alla lettera. Dalla ricerca del Lebensraum alla Soluzione finale per gli indesiderati. Hitler venne fatto passare addirittura come uomo della pace a cui dare il Nobel; uomo della Giustizia, secondo Carl Schmitt. Il primo Governo Hitler si reggeva grazie all’appoggio di Alfred Hugenberg, magnate dei media, che forse, per poco, si illuse di poter “controllare” il Cancelliere. Il contratto di governo durò poco: sei mesi, da gennaio a giugno. Il Partito Nazionale del Popolo Tedesco venne fagocitato da quello Nazionalsocialista. Ttuttavia, Hugenberg conservò il seggio da deputato fino al 1945. Lo stesso Franz von Papen, Vicecancelliere fino al 1934, cattolico, disse: «Metteremo Hitler in gabbia». In gabbia poi ci andò lui dodici anni dopo, a Norimberga.
Il comizio hitleriano era una vera e propria performance teatrale: oggi si agitano rosari, ci si batte i pugni sul petto, si scherza sulle dimensioni degli apparati virili dell’avversario. La politica ridotta a folclore? Lo si pensavaanche nella Germania prehitleriana. Che era mai il NSDAP se non un gruppuscolo di falliti e ubriaconi riuniti in una birreria di Monaco? Deplorables! La folla rideva e applaudiva, ma non solo: presenziava attivamente. Rumoreggiava, sputava, urlava, alzava pugni e distendeva le dita verso il grande condottiero. Il pubblico scandiva slogan: godeva nel trovare il capro espiatorio creato dai nazisti. Nel Terzo Reich, la violenza era all’ordine del giorno. «La mano pesante, e persino le brutalità, lungi dal danneggiare la reputazione di Hitler, raccoglievano ampio consenso […]. C’era consenso per la pena di morte».
I nazisti odiavano sia i giornali che i giornalisti. Appena arrivati al potere, si impadronirono immediatamente dei mezzi di comunicazione, come scrive Ginzberg. E molti giornali si adattarono presto al nuovo andazzo. Quasi nessuno dei big del NSDAP rilasciava interviste alla Lügenpresse, la stampa bugiarda. Il che non vuol dire che il partito non avesse un formidabile apparato di propaganda (quello di Joseph Goebbels), a partire dal Völkischer Beobachter di Alfred Rosenberg e dallo Stürmer di Julius Streicher, nelle cui pagine, «c’era già quasi tutto il peggio dei social». Per distrarre la massa dai problemi seri – come la crisi economica flagellava la società tedesca – i giornali erano stati infarciti di fatti di sangue e delitti di ogni genere. Un bombardamento mediatico per ampliare la sensazione di insicurezza.
E se chi fomenta l’odio nei confronti del prossimo, quasi equabilmente colpevoli sono coloro i quali non si oppongono alla barbarie. In particolare, Ginzberg fa riferimento alle opposizioni parlamentari. «E l’opposizione in tutto questo? I socialdemocratici erano tutti persi a litigare al loro interno, mentre evaporava con rapidità impressionante la loro formidabile organizzazione, si spezzavano una dopo l’altro le radici che avevano in profondità nella società tedesca». Un’opposizione silente, incapace ed egoista. «Sino a poco prima la sinistra litigava sulla chiusura o meno dei negozi alla vigilia di Natale». Insomma, un tema così importante da non lasciar modo di contrastare la macchina nazista. I più non si erano resi conto del progredire spedito del totalitarismo nazionalsocialista; o si erano resi conto e andava loro bene così. Altri invece avevano capito, ma erano in pochi.
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su neXtQuotidiano)