Non occorre essere conservatori o reazionari per criticare il Sessantotto occidentale e i suoi effetti su società e politica. La promessa sessantottina, ben lontana dal rispetto della libertà di pensiero altrui, contemplava un futuro migliore, senza classi e proprietà privata, verso una società buona, giusta, equa. Peccato che avvenne sotto il segno di un Comunismo globale che negli anni Sessanta raggiungeva l’apice dell’influenza. Essere comunisti negli ambienti della cultura, del giornalismo, della scuola era una buona scommessa per la propria carriera. Su scala globale, negli anni Sessanta, tra Socialismo e Comunismo, un terzo del pianeta era governato all’ombra di queste idee. In Giappone e in Europa i movimenti della sinistra extraparlamentare – “compagni che sbagliano” – minacciavano, ricattavano e aggredivano le liberaldemocrazie e la società aperta. Le guardie rosse di Mao Zedong terrorizzavano la Cina. Pol Pot orchestrava il suo genocidio. Fidel Castro voleva la Grande Guerra del suo tempo.
Ho Chi Minh combatteva per il potere. Molti in Occidente si definivano trotzkisti per evitare di essere associati a Stalin. Una mossa di marketing per risultare più appealing, salvo il fatto che Lev Trockij era ancor più radicale di Stalin. Questi erano i modelli delle generazioni che hanno vissuto e fatto il Sessantotto. «Non c’è un evento cruciale, storico, simbolico che abbia caratterizzato il 1968», ha scritto Marcello Veneziani (Sessantotto tesi contro il Sessantotto). Ci sono stati tre Sessantotto. E non tutti strumentalizzati da o ad opera di una certa sinistra illiberale, eversiva, antidemocratica ed extraparlamentare. Il primo Sessantotto, quello americano, iniziato a Berkeley da Mario Savio si proponeva come primo obiettivo quello di organizzare dibattiti politici nei campus californiani. Il risultato dello strapotere accumulato in questo senso da certi circoli nelle università statunitensi è poi confluito oggi nella stigmatizzazione di testi classici ritenuti eretici.
Il secondo Sessantotto era quello europeo, parigino ed italiano. Se il primo è durato solo due mesi, il secondo è durato due lustri. E inevitabilmente si collegò ad un estremismo politico extra-parlamentare. Il terzo Sessantotto era quello dell’Europa centrorientale, subito soppresso dai carri armati. Laddove non esisteva lo Stato di diritto (nelle società comuniste) alcuni rivendicavano diritti di base e rispetto delle libertà. Nulla a che vedere con le richieste del secondo Sessantotto, quello occidentale, viziato dalla noia e dal protagonismo antimeritocratico, anti-mercato, anti-qua, anti-là dei suoi esponenti. I tre Sessantotto erano tutti diversi. Il secondo, quello dei ricchi, il Sessantotto occidentale, è stato il più distruttivo e devastante per le istituzioni. Non prevedeva un aggiustamento del potere e delle sue storture, quanto il diritto di disintegrare pezzi della società libera. Alberto Mazzuca (Penne al vetriolo) ricorda il clima di allora.
«Gli esami universitari diventano di gruppo […]; tutti devono fare carriera nella scuola e nel lavoro, anche quelli che non lo meritano; il furto nei negozi è […] ribattezzato “esproprio proletario”; la cultura è disprezzata tanto da scriverla kultura con la kappa; l’eskimo diventa una sorta di simbolo della sinistra studentesca; […] la forma democratica dell’assemblea è ossessivamente diffusa ovunque finendo per essere il più delle volte manipolata». Il Sessantotto occidentale ha miscelato uguaglianza e populismo, marxismo e demagogia, cristianesimo e collettivismo. «Nacque come insurrezione, finì come professione: il mestiere di sessantottino», scrive Veneziani (op. cit.). Tanto è vero che una gran parte dei settantenni di oggi ha una formazione politico-culturale sessantottina. Con il tempo, le sirene del capitalismo hanno lenito le tendenze estremiste di costoro. Levigando ed appiattendo anche i più duri e puri. «Diventerete tutti notai!», gridò Eugène Ionesco ai sessantottini parigini. Era ottimista: per diventare notai bisogna studiare.
Pur avendo studiato poco, molti sessantottini si sono riciclati come opinionisti, commentatori, scrittori. Esperti del tutto-nulla. Parlano di calcio, politica, costume, economia, pandemia, guerra. Gli effetti deleteri del Sessantotto occidentale sono parecchi. Tra questi: 1) Discredito della meritocrazia, per cui tutti devono essere promossi indipendentemente dall’impegno. Tutti devono essere promossi in base all’ugualitarismo. In altri termini, i peggiori vengono premiati, i migliori penalizzati. Solo per livellare la società secondo criteri politici. 2) Discredito della scuola come istituzione. Il docente, che «un tempo godeva di prestigio e autorevolezza, è stato ridotto al rango di un poveraccio, a metà tra l’animatore di villaggio e la colf» (ibid.). 3) Emerse il concetto di società nuova. «Il Sessantotto sciolse il nesso tra diritti e doveri, tra desideri sacrifici, tra libertà e limiti, tra meriti e risultati, tra responsabilità e potere, oltre che tra giovani e vecchi».
4) L’estremismo politico si fece quotidiano: a sinistra i vari Mao, Castro ed Ernesto Che Guevara divennero dei guru. I loro crimini potevano essere perdonati in virtù del loro antiamericanismo. L’intransigenza divenne l’elemento che alimentò l’estremismo politico. 5) Emerse l’anti-tuttismo. I sessantottini erano “anti-tutto”, pur basandosi su premesse e valori che contestavano. Erano antifascisti, ma fascisti nella loro intolleranza e violenza politica e verbale. Erano antireligiosi, ma imbevuti di ideologia. Antimodernisti mentre si appellavano al progressismo. Antiborghesi, sebbene molti fossero i rampolli borghesi del miracolo economico. 6) «Esplose la passione trasgressiva per l’illimitato, per l’inaccessibile, il primato dell’emozione sul pensiero» (ibid.). Sperimentare vie illegali divenne una battaglia all’insegna della libertà di pensiero. Ma questa, tuttavia, può esistere solo se subordinata al rispetto della libertà altrui. Cosa che i sessantottini non contemplavano nel loro radicalismo ed estremismo politico degenerato.
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su Corriere dell’Italianità)