Il cappio del debito pubblico e i giovani di domani

Giulio Andreotti diceva che «è meglio tirare a campare che tirare le cuoia». Solo che a furia di tirare a campare si rischia di morire. Un debito pubblico enorme è una zavorra che qualsiasi economia che pensi di svilupparsi in maniera virtuosa non può continuare a trasportare nella propria mongolfiera in ascesa. Il debito di oggi è un’ipoteca per i figli del domani. Le allegre spese di oggi sono i conti che verranno presentati alle generazioni future. Chi pagherà il debito pubblico? Negli anni si è sviluppata in Italia la tendenza a guardare al grande gigante come un qualcosa di astratto e lontano dai “problemi veri” della “gente vera”, come direbbero alcuni. Non è così: capire le dinamiche dell’eccessivo debito pubblico e perché questo è velenoso per l’economia è importante. Carlo Cottarelli (Il macigno) spiega come quella del debito sia una cultura poco sana.

«Se una parte elevata del debito è detenuta all’estero, la tentazione per un governo di non ripagare il debito è maggiore perché gli investitori esterni non votano». Secondariamente, «le ripercussioni per l’economia nazionale di un ripudio del debito sono minori, visto che chi ci perde sta da qualche altra parte del mondo». Cottarelli spiega che l’eccesso di debito pubblico fa male per tre motivi. Uno: espone il paese che lo detiene ad un rischio di instabilità finanziaria. Due: rallenta gravemente la crescita. Tre «accettare di vivere con un debito alto ci abitua a scaricare sulla collettività responsabilità che sono di ogni individuo». Pochi avvertono il debito pubblico come un cappio, un problema che riguarda il tessuto sociale del paese. Nonostante gli sia stata erroneamente attribuita, già Cicerone avvertì circa la tossicità di un elevato debito pubblico.

«Il bilancio deve essere equilibrato, il tesoro ripianato, il debito pubblico ridotto, l’arroganza della burocrazia moderata e controllata […] per far sì che Roma non vada in bancarotta. Il popolo deve imparare di nuovo a lavorare invece di vivere di assistenza pubblica». Il debito pubblico di un paese va commisurato alla ricchezza del paese stesso. Lo Stato può essere indebitato per un certo periodo, ma deve essere comunque in grado di rimborsare i creditori. Ad esempio, il debito pubblico francese alla fine degli anni Ottanta del Settecento era di duecentoquindici milioni di sterline, al pari di quello inglese. Tuttavia, il costo degli intessi sul debito erano il doppio. Il Re e i suoi ministri decisero di stampare più moneta, alzando l’inflazione. Il che aggravò le finanze del regno. Un altro periodo interessante per capire le dinamiche nocive di un debito pubblico elevato, sono sempre gli anni Ottanta, ma del Novecento.

Il debito pubblico è esploso nel Belpaese negli anni del CAF. Era il cinquantasei per cento del PIL durante il governo di Arnaldo Forlani (1980) e al centouno al termine dell’ultimo Governo Andreotti (1992). La crescita degli anni Ottanta è stata presa in prestito dalle generazioni future. Da allora chi nasce si trova in culla già diversi miliardi di Lire che genitori e nonni hanno speso per conto loro. Nella cosiddetta Seconda Repubblica, dal 1995 al 2007, il debito è calato del diciassette per cento, tornando a quota cento rispetto al PIL. Poi tutto è cambiato con la crisi finanziaria: di nuovo, un balzo in avanti del ventuno per cento dal 2008 al 2012. Non stupisce il livello odierno del debito pubblico: che speranze ha un paese che ha un debito pubblico al centotrentacinque per cento del PIL? Un giorno questo debito dovrà essere pagato: e lo pagheranno i giovani.

Come hanno commentato Alberto Alesina e Francesco Giavazzi (Corriere della Sera, 4 settembre 2019), «le politiche pensionistiche e il nostro debito pubblico non fanno che trasferire risorse dai giovani di oggi e dalle generazioni future agli anziani di oggi […]. Se l’Italia non avesse accumulato inutilmente un debito enorme avremmo spazio per combattere la recessione con adeguate politiche fiscali espansive». D’altra parte, Francesco Vecchi (I figli del debito) spiega come nel 1947 il debito pubblico ammontasse a venti Euro pro-capite. Oggi siamo a trentottomila. «La sovranità non ci è stata sottratta dall’Europa, ma dai genitori». Spendere oggi per ripagare domani non dimostra lungimiranza da parte della classe politica. Tirare a campare con i soldi pubblici è una soluzione fallimentare. Quando ad Andreotti fu chiesto cosa pensasse dell’arguzia del suo alleato dell’epoca – quella “volpe” di Bettino Craxi – il politico ciociaro rispose che «prima o poi tutte le volpi finiscono in pellicceria».

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su Immoderati)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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