Oriana Fallaci: la donna che dava del tu al potere

Margaret Thatcher disse: «Essere potenti è come essere una donna. Se hai bisogno di dimostrarlo vuol dire che non lo sei». Oriana Fallaci non aveva certamente bisogno di dimostrare né il suo coraggio né la sua capacità di scrittura. Ha fatto un mestiere che veniva generalmente intrapreso da soli uomini ed è stata molto più eroica di molti di loro. Oggi avrebbe compiuto novant’anni. Il suo essere donna in un contesto di uomini era l’altra faccia della medaglia della ribellione e dell’indipendenza della Signora. Per la parità di genere ha sempre lottato, ma voleva essere ricordata come “scrittore”. Non le interessavano le declinazioni che assumevano toni politici e che oggi sembrano essere l’unica missione di diversi movimenti progressisti. È quantomeno bizzarro d’altra parte definirla di “destra”, dal momento che per la libertà dal Nazifascismo ha combattuto sin da bambina.

Oriana Fallaci ha fatto parlare di sé per mezzo secolo. Non ci sono voluti certamente i contrasti con il mondo islamico ad assicurarle una fama planetaria, ma quindici libri e venti milioni di copie. La sua storia e il suo nome parlano per lei. L’Oriana, la donna che dava del tu al potere. Dopo gli esordi giornalistici tra le star di Hollywood degli anni Sessanta, iniziò una stagione di “intervistaggio seriale”, per cui divenne famosa. La Signora intervistava i grandi della Terra. Segretari di Stato, primi ministri, capi di Stato, ministri, commis d’État, registi, attori, astronauti, “grandi” di ogni genere. È cosa nota che, alle volte – non potendo cambiare le risposte degli intervistati – “rafforzava”, diciamo così, le domande che aveva posto loro. Nella primavera del 1958 Oriana Fallaci scoprì di essere incinta e decise di abortire.

Un travaglio celato e doloroso, una ferita perennemente fresca e insanabile nella mente della scrittrice. Il suo dolore troverà sfogo in Lettera ad un bambino mai nato, che assieme a La rabbia e l’orgoglio e Un uomo – sulla prigionia del suo grande amore, il dissidente greco Alekos Panagulis – è tra le opere più celebri della giornalista fiorentina. Assassinato Alekos e morta la madre nel 1977 lascia L’Europeo, dove era arrivata all’epoca di Arrigo Benedetti. Oriana Fallaci era la giornalista più famosa all’estero, subito dopo Indro Montanelli. Con il Papa dei giornalisti pensò anche di scrivere un libro. I due condividevano molti aspetti: stessa regione di provenienza (la Toscana), stesso amore (la scrittura), stessa antipatia politica (il Comunismo), stessa “adesione” religiosa (l’ateismo), stessa casa editrice (la Rizzoli). Diretta, a tratti maniacale nel suo lavoro, brutale, secca, esigente con se stessa e con gli altri.

Tra i diversi primati assoluti che la Signora detiene c’è anche quello di essere stata l’unica giornalista donna italiana a seguire la guerra del Vietnam nel 1968. All’epoca, era contro gli americani: popolo che col tempo imparò a stimare. La guerra non le faceva paura: nella sua carriera ne ha seguite tante. Compresa quella in Libano nel 1983, quando conobbe il paracadutista Paolo Nespoli, che si stabilì con lei a New York. È negli Stati Uniti che Fallaci si congeda dai suoi lettori per molto tempo, fino alle sue ultime battaglie. Sterile la sua attività in libreria dal 1979 al 1990 – quando esce Insciallah – e dal 1990 al 2001. È con gli attentati dell’11 settembre che l’anziana dama fiorentina sfodera nuovamente penna e artigli. Violento il suo ultimo periodo nei confronti dell’estremismo islamico e l’Islam, ma sarebbe riduttivo confinare Oriana Fallaci a quelle polemiche.

Da parte sua, eccessi ce ne sono stati, ma non più gravi di chi le indirizzava personali, dileggiandola per il cancro che la scrittrice aveva annunciato sulle colonne del Washington Post proprio nei primi anni Duemila. Lei, che il tumore lo chiamava “alieno” e lo trattava come un parassita. «Non avevo tempo per fare i controlli: dovevo scrivere libri», spiegava Fallaci ai medici. I libri – come del resto le celebri interviste prima – erano come i suoi bambini: e lei doveva scegliere se accudire i suoi figli o curare se stessa. Ha scelto i primi, come ogni buona madre. I suoi detrattori hanno cercato di infangare la storia della più grande giornalista italiana del secondo Novecento. Non ci sono riusciti: la partigiana in treccine non è stata dimenticata.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su L’Osservatore)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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