Il 25 giugno di quarantacinque anni fa a farsi spazio nelle edicole italiane comparve un nuovo protagonista; un foglio quotidiano che avrebbe fatto discutere negli anni a venire. Una nuova pubblicazione che per molto tempo sarebbe stata subalterna a Corriere della Sera e Stampa. Il Giornale di Indro Montanelli è stato l’orientamento quotidiano di un centinaio di migliaia e mezzo di lettori, che nello storico giornalista trovavano una bussola politica e culturale leggendo la “caravella liberale”. Il Giornale era uno dei più ricchi in termini di firme illustri e internazionali, ma era pienamente identificato nel suo direttore. Per le città d’Italia si diceva: «Mi dia il Giornale di Montanelli», quasi con un tono di sfida nei confronti dell’edicolante che spesso tentava di boicottarne l’acquisto. Tutto era iniziato nel 1973, con un’intervista a Il Mondo di Montanelli rilasciata a Cesare Lanza.
Ai vertici di Via Solferino – sede del Corriere della Sera diretto da Piero Ottone – le critiche che il giornalista sollevava circa la gestione e l’orientamento del giornale non furono gradite. Ricorda anni dopo in Ecco la (nostra) stampa, bellezza lo stesso Lanza: «Montanelli mi regalò affermazioni importanti […]. Ammise che non condivideva nulla dell’indirizzo che Ottone aveva dato al giornale. Disse che il Corriere aveva tradito il suo pubblico fondamentale, la buona e produttiva borghesia lombarda, con innovazioni e aperture arbitrarie […] non tollerabili. Disse che era la proprietaria Giulia Maria Crespi […] a ispirare e suggerire a Ottone il da farsi». E dopo trentasette anni di servizio al Corriere, Montanelli venne cacciato. Il giovane Enzo Bettiza rimase al Corriere fino agl’inizi del 1974 per reclutare nuove leve per un nuovo progetto.
Ricorda il Barone in Via Solferino che «l’importante era coordinare l’uscita: formare un blocco compatto, scaglionare le dimissioni a scatti ravvicinati l’una dall’altra, dando all’evento il volto non episodico […]. Fui tra i primi a rassegnare le dimissioni all’inizio di febbraio […]. Ottone […] lesse e rilesse con aria assorta le poche righe ufficiali della lettera che personalmente ero venuto a consegnargli […] e, sforzandosi di sorridere, disse: “Il giornalismo è proprio un porto di mare. Chi viene, chi va. Ora sei tu ad andartene e le nostre strade di nuovo si separano. La vita è così, e non dobbiamo serbarci rancore”». Niente rancore, ma i giornalisti che seguirono Montanelli, Bettiza, Guido Piovene e Gianni Granzotto furono a decine e non provenivano solo dal Corriere della Sera, ma anche dal Corriere d’Informazione, dall’Europeo, da Epoca, dalla Stampa, dal Giorno.
Il 25 giugno 1974, dopo qualche settimana a lavorare sui numeri zero, il Giornale Nuovo (così si chiamava il Giornale visto che la testata “il Giornale” era già registrata presso il tribunale di Varese) sopravvisse con successo al battesimo del fuoco in edicola. Il primo numero, oggi pezzo da museo del giornalismo, apriva sulla politica: “Fanfani conta amici e nemici”. All’inizio della sua avventura, il Giornale era un prodotto agile, ispirato anche al Corriere. Per stessa ammissione di due dei fondatori, Mario Cervi e Gian Galeazzo Biazzi Vergani, nei diari sulla direzione Montanelli – il primo Giornale era un po’ bruttino a livello grafico. Il nome della testata venne suggerito dall’amico di Montanelli Giorgio Soavi, visto che il direttore voleva chiamarlo La Posta. «Indro, ma cosa vai ad impelagarti nella fondazione di un nuovo giornale? Hai sessantacinque anni! Chi te lo fa fare? Goditi la pensione», dicevano alcuni.
Toscanamente testardo e cocciuto, volenteroso e controcorrente, operoso e anticonformista, Montanelli decise d’imbarcarsi nell’avventura di fondare e dirigere un giornale. La sfida del Giornale di allora nacque altresì per dare una voce ai senza voce. Uno sparuto popolo (anarco-)liberal-conservatore, che non vedeva più nel quotidiano di Via Solferino il fido compagno in battaglie borghesi. È l’anziano Giorgio Torelli che ne Il padreterno e Montanelli definisce il primissimo Giornale un “vascello corsaro”. Ed era stato Montanelli in persona a presentargli il nuovo progetto mentre i due camminavano «nella bruma milanese di Via Senato» a Milano. E il futuro direttore: «Ho sentito, a sessantaquattr’anni, arrivarmi la cartolina precetto. È stata la coscienza a impormi di dar battaglia. Le battaglie si fanno in quanto degne. Non in vista di una vittoria».
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su L’Osservatore)