Le sfide del Grande Gioco geopolitico che passa per l’Italia

Ne Il campo di battaglia. Perché il Grande Gioco passa per l’Italia (La Nave di Teseo 2021) Maurizio Molinari pone il Belpaese al centro delle sfide geopolitiche dell’oggi. Tra queste: 1) La ricostruzione europea dopo il Covid – da un New Deal per la sanità alla sfida permanente al virus. 2) Il populismo – dalla protesta agli interessi nazionali, dai No Vax all’immigrazione. 3) I nuovi diritti – dalle diseguaglianze di lavoro e di genere, dai diritti digitali ai green jobs, dallo smart-working alla cybersicurezza. 4) Il Mediterraneo – conteso tra autocrazie, considerando gli Accordi di Abramo e la NATO. 5) Il jihadismo – dal post-ISIS al ritorno dei talebani a Kabul. 6) La nuova Guerra Fredda – dal multilateralismo al 5G, dalla Cina al commercio. 7) Le sfide della democrazia – dai rapporti tra Stati Uniti ed Europa all’Indo-Pacifico. Le grandi questioni globali del presente passano per l’Italia e le assegnano oggi un ruolo centrale.

Non è la prima volta che l’Italia si trova al centro di intricate questioni geopolitiche, tra rivalità economiche e strategiche di grandi attori, ricostruzione europea, duello tra potenze nucleari. Il ruolo dell’Italia nel Grande Gioco supera di gran lunga la percezione che i cittadini italiani hanno del loro paese. Questo, crocevia della ricostruzione europea. «Essere stato il primo paese dell’UE esposto all’attacco a sorpresa del virus di Wuhan ci ha […] assegnato un ruolo di leadership la risposta all’emergenza», scrive Molinari. E lo si è visto dagli ingenti fondi del NextGenerationEU. L’Italia gode della quota più alta di aiuti da Bruxelles. «Se falliremo sarà l’intera Europa a risentirne, se avremo successo sarà l’intera Europa a giovarsene». Il malessere sociale in Italia «nasce dalle diseguaglianze di lavoro e genere, dalla carenza di tutela della sanità pubblica, dal timore per l’occupazione dovuto all’avvento delle tecnologie più avanzate e alle incertezze sull’istruzione».

Ma queste sono altrettante sfide che il Belpaese può affrontare «riqualificando il tech, formando alle nuove professioni più richieste, identificando nello smart-working e nei green jobs formule innovative di contratti basati sul miglioramento dell’impatto sociale». Questo vale per le democrazie oggi chiamate a dimostrare ai propri cittadini che esse sono in grado di garantire benessere di sicurezza. E vale anche per l’Italia, laboratorio del populismo. Una nazione naturalmente esposta al Grande Gioco geopolitico in primis per la sua posizione geografica. Xi Jinping lo sa bene. Identifica nel Mediterraneo in tassello importante per la Belt and Road Initiative (BRI). Una porta di beni e servizi in Europa, che è il mercato più ricco del pianeta. Il Mediterraneo è sensibile alle sirene cinesi che garantiscono investimenti e stabilità anche a causa delle instabilità dell’Africa del Nord, della repressione delle primavere arabe, delle manovre della Brigata Wagner.

Anche Recep Tayyip Erdoğan lavora per estendere la sua influenza nel Mediterraneo. Ha identificato la Tripolitania come un tassello imprescindibile per la sua proiezione ottomana. A fronte di queste sfide di frontiera, l’UE ha dimostrato fiducia nei confronti dell’Italia. Esige tuttavia che questa aggredisca ostacoli interni ed antichi come burocrazia, nepotismo, carenza di responsabilità, corruzione, crimine organizzato. La frontiera dei nuovi diritti è cruciale per Molinari. Nel Grande Gioco l’Italia deve contraddistinguersi per essere un guida in questo senso. Una democrazia liberale si rafforza ogni volta che vengono identificati nuovi diritti. D’altra parte, il governo di Roma è percepito come il ventre molle del Mediterraneo da parte delle autocrazie. Ed è al centro del duello globale tra Stati Uniti e Cina, nonché nel mirino di Russia e parte del mondo arabo.

«La nostra sicurezza nazionale è assediata dagli interessi di grandi e medie potenze che tentano di sfruttare le nostre debolezze per rafforzarsi in uno scenario internazionale». Da aggiungere a queste sfide anche l’incremento del populismo; un metodo di offerta politica che presenta la democrazia liberale e rappresentativa come inefficiente e sorda ai “problemi della gente”. Il metodo populista implica una deresponsabilizzazione personale e l’identificazione della libertà individuale come elemento a discapito degli altri. Per esempio, nell’ambito della pandemia ad «essere decisiva sarà la responsabilità personale: esercitandola saremo protagonisti della ricostruzione, dimenticandola resteremo prigionieri del passato». La pandemia ha aiutato a indebolire il populismo in Europa, ma ha rafforzato il ruolo dello Stato nel difendere la cosiddetta salute pubblica. Certo: i movimenti populisti hanno visto nei No Vax una possibilità di riscatto dalla discesa del consenso, sfruttando la protesta anti-vaccinale mischiandola quella antisistema.

La sfiducia nei confronti delle élite e degli esperti in campo medico-vaccinale non è altro che uno dei tanti riflessi della sfiducia nei confronti della politica e delle élite come tali. La carta giocata dai No Vax è il diritto alla libertà di scelta della propria salute. Tuttavia, rifiutare una somministrazione vaccinale significa minare alla salute degli altri. Il compito delle democrazie è dunque quello di garantire una protezione di una prosperità misurata e duratura ai propri cittadini. Le democrazie devono reinventarsi mettendo al centro non solo il profitto, spiega Molinari, ma anche la protezione dei cittadini. Il «ruolo dello Stato nell’economia deve andare oltre la necessità di fare debiti per generare ricchezza, guardando a ricette innovative per migliorare la qualità della vita […] come strumento non solo di stabilità sociale, ma anche di rinascita collettiva. Alla base c’è la necessità di proteggere le categorie più deboli».

Ovvero, «chi soffre per le diseguaglianze, chi è minacciato dai cambiamenti climatici, chi perde il lavoro a causa del suo genere, chi non riesce a integrarsi […], chi è scartato dal mondo della produzione». I governi dell’Occidente non possono rimanere sordi a queste sfide. Pertanto, devono far «coincidere le risorse pubbliche quelle private attorno a un modello di società industriale». I cittadini chiedono sicurezza dal terrorismo e i problemi posti dell’immigrazione. Molinari spiega che i paesi occidentali dovrebbero difendersi tramite in tre modi. 1) Creare un network integrato di difesa comune e far convergere le risorse nella protezione digitale. 2) Affrontare il tema della cyber-sicurezza assieme a NATO e partner europei. 3) Dotarsi di un sistema di difesa nazionale. Nel 2021 i paesi occidentali hanno registrato attacchi cibernetici contro le infrastrutture civili; non solo militari come in passato. I governi hanno reagito.

Joe Biden ha firmato l’ordine esecutivo che obbliga ogni azienda a rafforzare la sua sicurezza. La Francia ha accelerato sul cloud nazionale per proteggere le informazioni strategiche. L’Italia ha creato l’agenzia per la cybersicurezza nazionale. La NATO ha classificato gli attacchi cibernetici come motivi per attivare l’articolo quinto. Per l’Occidente è dunque cruciale creare protezioni per scongiurare aggressioni hacker contro le infrastrutture civili. Quanto all’immigrazione, Molinari non ha dubbi: la strada è l’integrazione. «Se a prevalere sarà il seme dell’odio perderemo l’occasione dell’Italia multietnica e resteremo una provincia insulare, ai margini delle sfide globali». Minacce o opportunità dal Mediterraneo si presentano in un teatro dove si giocano tre partite. La Russia di Vladimir Putin che interviene in Siria e in Libia ha obbligato la NATO a distogliere risorse dall’Europa orientale. Con la BRI la Cina vuole penetrare in un mercato italiano ed europeo.

E il governo di Ankara si vede e propone come una guida dell’Islam sunnita. La Turchia si sente la nazione protettrice dei paesi arabi della regione. Tuttavia, è conscia degli avversari russi ed egiziani. Come questi, anche Erdoğan dispone di strumenti di controllo delle rotte dei migranti dal Medioriente per fare pressioni nei sull’Europa. Le tre autocrazie – Russia, Cina, Turchia – giocano una partita strategica nel Mediterraneo. Qui l’Italia è forse l’attore principale, ma anche quello più debole. La minaccia jihadista sull’Italia e sull’Europa non è diminuita. «Il jihadismo è un’ideologia estremista che travisa i contenuti del Corano per legittimarsi, rigetta la modernità, crede nella violenza e persegue il dominio prima su tutti i musulmani e quindi sul pianeta intero vi dicono eliminando gli “apostati”, i sottomettendo gli “infedeli” al fine di realizzare un califfato dove vige la versione più spietata della sharia».

La riconquista dei talebani di Kabul nell’agosto 2021 ha annullato ogni sforzo di occidentalizzazione in Afghanistan. E ha esposto lo stesso, i vicini e anche l’Occidente, all’estremismo islamico. La corruzione endemica ha delegittimato e indebolito il governo pro-Occidente a favore di un modello amministrativo medievale come quello del Mullah Omar negli anni Novanta. I mujaheddin che obbligarono l’Unione Sovietica ad andarsene nel 1989 oggi parlano di una vittoria sugli Stati Uniti. La guerra di logoramento afghano ha distratto Washington da altri teatri globali importanti. Gli Stati Uniti hanno investito molte risorse a Kabul e nell’analoga operazione irachena dimenticando, tra gli altri, anche i problemi domestici. La vittoria di Kabul dei talebani «si tratta della riaffermazione della validità del pensiero di Osama bin Laden sulla superiorità jihadista nei confronti dell’occidente “perché voi avete gli orologi […] e noi il tempo».

La caduta del governo di Ashraf Ghani è un’opportunità anche per un’al-Qaida marginalizzata. La presa dell’Afghanistan dei talebani è stato un colpo micidiale per Biden. I talebani gustano la vittoria sul “più arrogante degli imperi” come lo ha definito Sirajuddin Haqqani, il vice del regime di Kabul. Nel frattempo, «Pechino guarda tutto ciò con un misto di interesse e preoccupazione: da un lato c’è infatti l’alleato chiave di Islamabad in Asia […] che incassa un importante rafforzamento strategico ma dall’altro teme che l’Afghanistan jihadista possa […] destabilizzare il confinante Xinjiang». Per questo la Cina ha già iniziato a cooperare con il nuovo governo di Kabul. Il ministro degli Esteri Wang Yi vuole integrare l’Afghanistan e il Pakistan nella BRI come collegamento dell’Occidente e l’Asia centrale nell’ambito dello sfruttamento delle terre rare che servono alla Cina per acquisire la supremazia tecnologica in quest’area.

Sebbene l’ISIS di Abu Bakr al-Baghdadi sia dissolta da anni, la conquista dell’Afghanistan dei talebani restituisce credito al fondamentalismo sunnita nell’ambito il tentativo di costruire un modello di emirato basato sulla Sharia, l’oscurantista legge islamica che semina terrore. Questo impone diversi interrogativi sul rapporto tra gli afgani e il loro governo. In vent’anni quest’ultimo non ha costruito alcun tipo di fiducia nella popolazione per sollecitare un rifiuto categorico della Jihad. Un Afghanistan a guida talebana è un pericolo per l’Occidente perché diventa il più invitante degli Stati falliti dove lo Stato islamico può individuare nuove basi e radici. D’altra parte, il nuovo regime lancia segnali a Pechino e Mosca, Islamabad e Teheran. Chi si avvicina a Kabul deve fare i conti con i talebani. I quali «vogliono infatti diventare l’esempio più rigido di Stato fondamentalista, cancellando i diritti civili, sottomettendo le donne».

La presa di Kabul impone all’amministrazione Biden, all’Occidente e alla NATO di ripensarsi in relazione a una possibile sfida militare contro Cina e Russia. I nemici dell’Occidente vogliono espellere l’America dallo scacchiere dell’Oceano indiano, scrive Molinari. Nell’ambito della BRI e del consolidamento dei regimi dell’Asia Centrale già parte dell’URSS da parte della Russia, coinvolgendo Turchia, Iran e Pakistan vedono un moto antiamericano. Questo piano s’inserisce in una nuova dinamica di seconda Guerra Fredda che negli ultimi anni si è profilata come nuovo terreno di scontro geopolitico. Secondo Molinari, Mosca e Pechino investono molte energie per indebolire gli Stati Uniti, l’UE e l’Italia. Questa, percepita come l’anello debole dell’alleanza transatlantica e più esposta a destabilizzazioni politiche attraverso, per esempio, il finanziamento di partiti populisti che discreditano l’Occidente a favore di Russia e Cina.

L’Italia ha prestato il fianco firmando nel 2019 il memorandum sulla BRI. Ma il legame Roma-Pechino si è fatto più spesso e questo inquieta molti osservatori. E ha preso di sorpresa gli Stati Uniti e gli alleati. Il Covid-19 ha apparentemente discreditato le democrazie a favore di una narrativa che prevede il modello autoritario come il modello migliore per far fronte a questo problema. «Gli Stati che avranno dimostrato di saper gestire meglio la pandemia usciranno politicamente più forti da questa crisi globale, mentre quelli che l’avranno gestita peggio saranno più deboli. Avremo una nuova metrica di leadership e credibilità internazionale, basata su una miscela di parametri senza precedenti: efficienza sanitaria, velocità amministrativa, sviluppo digitale e coesione sociale». Il sospetto nei confronti dell’origine del nuovo coronavirus a Wuhan accompagna sia l’amministrazione Biden che quella di Donald Trump.

Questi due governi sono stati indeboliti dalla propaganda sino-russa che ha criticato i sistemi di “gestione liberaldemocratica” della pandemia degli Stati Uniti. La “gestione autocratica” della pandemia da parte di Cina, Russia e Turchia, invece, riflette il modus operandi repressivo dei sistemi sociopolitici di questi paesi. Ciò va inserito nell’ambito di crackdown progressivi nelle autocrazie. Il 30 giugno 2020 la legge sulla sicurezza nazionale entrava in vigore ad Hong Kong. Il 2 luglio, Putin ottenne un 78 per cento di voti del referendum sulla riforma per cui resterà al Cremlino fino al 2034. Il 10 luglio Erdogan annullò la decisione del 1934 di Ataturk sulla moschea di Santa Sofia come un museo. Questi episodi dimostrano come gli autocrati cerchino di sfruttare la voglia di “polso fermo” nella società. Non si dimentichi però che lo scontento dei cittadini nei confronti delle autocrazie indebolisce i governi di Pechino, Mosca e Ankara.

Il ruolo del G7 e delle democrazie circa le sfide del Grande Gioco contro le autocrazie è anche quello di rafforzare i sistemi liberaldemocratici. Secondo Biden le democrazie non sono in declino. Egli vuole rinnovare la sicurezza collettiva nel sistema internazionale dei commerci e si è fatto promotore della difesa della democrazia globale. Vede il G7 come il cuore di un network di alleanze economiche e strategiche. Che da una parte deve rafforzare i diritti umani, ma dall’altra deve combattere la pandemia e respingere le offensive della Cina. Il piano Build Back Better intende proporre una lega di democrazie che respingano l’attrattività cinese. Ma soprattutto, che sostenga i Paesi in Via di Sviluppo nell’ambito di una ricostruzione infrastrutturale. «L’intento di Washington non è la resa o l’umiliazione degli avversari bensì spingerli a rispettare e condividere i diritti e regole della convivenza internazionale».

Questo tocca anche l’Italia, incalzata nel Mediterraneo da Turchia, Russia e Cina, che deve necessariamente rafforzare il suo legame transatlantico con gli Stati Uniti. Solo così che si difenderanno, come è successo anche negli ultimi tre quarti di secolo, i propri interessi nazionali. «Le democrazie occidentali hanno bisogno di trovare assieme a ricette vincenti contro le gravi crisi interne che le affliggono: disuguaglianze economiche, cambiamenti climatici, ricostruzione del sistema sanitario, la rivoluzione digitale e cybersicurezza». Il legame transatlantico va costruito attorno alle necessità odierne di fare diga all’autoritarismo. Il che vuol dire anche domare nel fronte interno l’avanzata dei populisti che giocano sull’odio e le paure innescate dalla crisi della globalizzazione, dalla pandemia e dall’insicurezza percepita ma crescente dovute anche alle migrazioni.

La lega delle democrazie, nei progetti del presidente americano, si baserebbe sulla cooperazione e il multilateralismo per risolvere i problemi del pianeta. Nessuna democrazia ha le risorse, da sola, per contenere gli attacchi e offrire una alternativa credibile al vento autoritario. Biden dovrà riunificare l’America, rafforzare i diritti e stimolare l’efficienza della liberaldemocrazia scrollandosi di dosso le piaghe della rabbia, dell’estremismo, della violenza politica, della disoccupazione e il calo della speranza per un avvenire migliore negli Stati Uniti e in Occidente nel complesso. Un programma ambizioso anche perché si basa sulla promessa di ricostruire un’America ferita dal Trumpismo, dagli attacchi di Capitol Hill, dall’aumento dell’inflazione e dalle tensioni socio-razziali. L’Occidente deve fare leva sui diritti e sulla libertà come motore nella Storia: come unici elementi in grado di assicurare prosperità e pace. Le autocrazie del pianeta hanno sostenuto i movimenti di protesta in Occidente.

E non hanno lesinato sugli sforzi di aggredire la liberaldemocrazia intesa come modello di benessere cardine dell’Occidente dal Dopoguerra ad oggi. Secondo Molinari, Biden dovrà affrontare diverse emergenze: clima e disoccupazione, nuovi diritti e sicurezza, lavoro e crisi culturale che affliggono l’America e i suoi alleati attraverso tre vie. 1) Cooperazione con partner e alleati sui temi globali riguardo la pandemia, il clima passando per la ripresa economica. 2) Confronto diplomatico e pacifico con il rivale strategico cinese e russo. 3) Volontà di rafforzare il ruolo degli Stati Uniti e delle alleanze tra le democrazie. Gli interessi dell’Italia, tassello importante nella nuova Guerra Fredda, sono quelli legati ad una partnership salda che allievi le debolezze regionali e globali per battere la pandemia, stabilizzare la crescita, affrontare le crisi globali e le autocrazie. Solo così l’Italia sarà in grado di affrontare le sfide poste dal Grande Gioco.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su La Voce di New York)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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