Il 22 giugno 1941 la Germania nazista lanciava contro l’Unione Sovietica la più grande invasione militare terrestre della Storia: l’Operazione Barbarossa. Retrospettivamente, l’inizio della fine del Terzo Reich. Oltre tre milioni di tedeschi, assieme agli alleati croati, finlandesi, ungheresi, rumeni, slovacchi e italiani vennero mandati ad aprire il fronte orientale, prima sigillato dal patto Molotov-von Ribbentrop. Adolf Hitler vedeva l’invasione di Russia come lo sforzo necessario per consolidare il proprio dominio sull’Europa continentale; una grande crociata contro il Comunismo, che avrebbe dovuto saziare la fame territoriale preceduta dall’annessione dell’Austria e del territorio dei Sudeti, l’occupazione di Boemia e Moravia, l’attacco alla Polonia. La ricerca del Lebensraum – era giustificata dalla Germania nazista in ottica antibolscevica; era il piano di Hitler per creare un impero di schiavi fino agli Urali.
Prevista inizialmente per il 15 maggio 1941, fu l’apertura del fronte greco voluta dall’Italia che obbligò Hitler a ritardare l’invasione dell’URSS. Uno slittamento fatale per il Terzo Reich. In Russia l’estate dura poco e l’inverno dura tanto. E non perdona e mise in grossa difficoltà di invasori. Napoleone Bonaparte aveva tentato l’invasione russa oltre un secolo prima e fu costretto alla ritirata dal Generale Inverno. D’altra parte, lo sforzo di preparazione dell’invasione nazista fu notevole: la macchina industriale tedesca continuava a produrre armi, carri armati, bombe. Nel 1941 il Reich produceva duecento tank al mese. Tra i mezzi dispiegati contro i sovietici c’erano anche cavalli, resistenti al freddo, a differenza delle mitragliatrici che potevano irrigidirsi nel gelo. Secondo i generali tedeschi, ogni mezzo doveva essere dispiegato contro il nemico sovietico.
Il 24 giugno 1941, le truppe dell’Asse entrano a Brest-Litovsk, oggi Brėst – l’omonimo trattato del marzo 1918 sanciva l’uscita della neonata Russia bolscevica dalla Prima Guerra Mondiale, nonché l’inizio dell’indipendenza dei paesi baltici, della Polonia, della Bielorussia. E anche della Finlandia che, il 25 giugno di ventitré anni dopo si unì all’Asse nella lunga marcia contro l’URSS. Prima di luglio i nazisti conquistarono Minsk, Leopoli e Riga. Con l’Operazione Barbarossa Hitler sottostimò la resistenza sovietica che in un primo momento fu scossa dal tradimento del patto di non-aggressione. In un primo tempo l’operazione fu un successo per il Reich: in sole due settimane, i panzer dei tedeschi arrivarono sul Dnepr; seicentomila prigionieri vennero catturati. L’8 settembre 1941 la Wehrmacht iniziò l’attacco a Leningrado; undici giorni dopo entrò a Kiev e ad inizio ottobre lanciò l’offensiva su Mosca – l’Operazione Tifone. Fu poi il turno della Crimea e del Caucaso.
Le potenze dell’Asse sembravano inarrestabili. La Blitzkrieg sognata da Hitler si rivelò micidiale per i sovietici, ma nel lungo termine rivelò limiti strutturali. Ma per quanto l’URSS potesse apparire disorganizzata, la guerra lampo non era praticabile in un paese di milioni i chilometri quadrati. I generali nazisti erano tranquilli: passata l’estate, a fine settembre l’invasione sarebbe stata completata, con i russi oltre gli Urali. In poco più di una ventina di giorni, l’Asse era già avanzato nell’entroterra russo di cinquecento chilometri a Nord, seicento al centro e trecentocinquanta a Sud. Stalin aveva ignorato l’intelligence che gli aveva riferito che i tedeschi erano pronti ad attaccare nel giugno 1941: non credeva che Hitler potesse gestire e la resistenza della Gran Bretagna ad Ovest e l’invasione in Russia.
L’impreparazione militare dell’Unione Sovietica fu evidente all’inizio dell’Operazione Barbarossa: milioni i russi costretti alla ritirata nell’entroterra; fu un massacro, tra colpi di mitra e gelo. Il tradimento di Hitler obbligò Stalin a guardare alle democrazie occidentali: lo shock dell’Operazione Barbarossa pose le basi per l’alleanza con Londra e Washington – lo stesso Winston Churchill mise da parte il suo viscerale Anticomunismo per «allearsi con il diavolo», come disse, per battere i nazisti. La campagna di Russia 2.0 doveva essere decisiva per garantire la vittoria al Terzo Reich. Invece, in quattro anni persero la vita milioni di militari e civili. L’Operazione doveva rappresentare la vittoria ideologica e militare dell’Asse; tuttavia, si rivelò fatale per quest’ultimo, in quanto al posto di fortificare l’egemonia nazista, la indebolì. Al contempo, la resistenza sovietica si corroborò e reagì, fino alla resa della sesta armata tedesca nel 1943 dopo Stalingrado.
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su L’universo)