Il 2020 è un anno importante per Charles De Gaulle. Sono passati centrotrent’anni dalla nascita, cinquanta dalla morte e ottanta dal discorso alla BBC dall’Inghilterra quando da ufficiale per lo più sconosciuto faceva appello «ai francesi che vogliono restare liberi». Capo del governo provvisorio della Repubblica fino al 1946, De Gaulle è stato una figura centrale nel secondo Novecento francese. A cavallo tra il mondo pre- e post-bellico, fu il traghettatore della Francia verso la Quinta Repubblica nel 1958. Venne quindi eletto primo Presidente della medesima nel 1959. Figlio di un ufficiale che aveva combattuto nella guerra franco-prussiana, prigioniero durante la Prima Guerra Mondiale, sviluppò un sodalizio con Philippe Pétain. «Mi insegnò l’arte del comando», scrisse nelle sue memorie, ma poi si oppose alla richiesta di armistizio di quest’ultimo ai nazisti. E la repubblica del Maresciallo lo condannò a morte in absentia e gli tolse la cittadinanza.
Ma l’esilio londinese del Generale lo rafforzò ulteriormente. Nell’aprile 1947, De Gaulle fondò il Rassemblement du Peuple Français (RPF); questo sciolto nel 1953 e rinato come Union pour la Nouvelle République. “Rassembler” era un concetto centrale per De Gaulle: di resistenza antitotalitaria e di salda unione cittadina. Il suo rassemblement politico doveva essere espressione di una comunità libera di cittadini oltre le fazioni politiche e uniti nell’interesse della nazione. Il suo movimento politico si poneva fuori dalla palude partitica. Odiato da comunisti, socialisti e post-fascisti, non era centrista, bensì conservatore. In politica personalizzò il suo stile da condottiero, cosa che gli valse il disprezzo di molti, tra cui quello di François Mitterrand. Lo stesso Franklin Delano Roosevelt non simpatizzava per il Generale. Lo riteneva pomposo e nazionalista (Washington riconobbe il Governo di Vichy fino all’invasione del Nord Africa nel 1942).
Ciononostante, il Piano Marshall fu ben accolto da De Gaulle che sapeva quanto fossero necessari gli aiuti finanziari dagli Stati Uniti per ricostruire il paese. A Washington, d’altra parte, l’indipendenza e la caparbietà del Generale non piacevano: De Gaulle non era controllabile. E sì che non era sgradito agli Stati Uniti, dal momento che svolgeva la sua funzione di diga anticomunista nei momenti più difficili della Guerra Fredda. Nonostante all’inizio fossero scettici circa lo sviluppo di armi nucleari da parte della Francia, gli Stati Uniti avevano accolto il fatto con interesse. Tuttavia, i veti del Generale, la sua personalità, il lustro che voleva dare alla Francia in Europa, la sua avversione verso Germania, Gran Bretagna e gli Stati Uniti, raffreddarono i rapporti atlantici. De Gaulle poteva sembrare a tratti contraddittorio: il suo nazionalismo, che era un’eredità dei tempi di guerra, serviva a galvanizzare il popolo francese.
Il suo amore per la Francia non è interpretabile come il diritto di assoggettare altri popoli. De Gaulle non era populista. Egli rigettò diverse volte l’entrata della Gran Bretagna nella Comunità Economica Europea, sebbene la stessa l’avesse accolto nel giugno 1940 quando i nazisti gli erano alle calcagna. Intesa la relazione con Winston Churchill, ma De Gaulle vedeva la Londra essenzialmente come la protegée dell’America. Per rafforzare la Francia – che temeva il potere industriale di una seppur divisa Germania – decise di frenare il compimento della futura Unione Europea basata sul neo-funzionalismo. «La Francia non può essere la Francia senza grandeur», spiegò De Gaulle, che si sentiva la Giovanna d’Arco del ventesimo secolo. I negoziati falliti del gennaio 1963 per l’ingresso di Londra nel mercato unico avevano estenuato il Primo Ministro Edward Heath, così come la “empty chair crisis” del luglio di due anni dopo che aveva indisposto i colleghi europei.
De Gaulle era percepito da molti elettori francesi come una garanzia atlantica di ordine e stabilità conservatrice e autorevole. Dimostrò coraggio durante la decolonizzazione avviata dalla sanguinosa guerra d’Algeria e i capricci sessantottini dei borghesucci parigini che, lodando Mao Zedong, accusavano il Generale di autoritarismo. Spietato uomo d’acciaio come molti volevano farlo passare? No di certo. Nel 1928 era nata sua figlia Anne; affetta da sindrome di Down, rappresentava il lato tenero del Generale severo e austero. La bimba, che morì a vent’anni nel 1948, era la forza del Presidente; «la mia gioia, colei che mi ha aiutato a superare tutti i fallimenti, a guardare più in alto». De Gaulle aveva diffidenza nei confronti dei politici e dei partiti politici: nel complesso, li considerava inefficienti. Negli anni molti lo hanno accusato di Bonapartismo, facendo finta di non capire che il disegno di Napoleone Bonaparte era autoritario.
Mentre De Gaulle era un sincero democratico. Poteva instaurare una dittatura in qualsiasi momento. Non lo fece: scelse la via democratica. Da non-politico detestava i “politici di professione”. Interveniva nella cosa pubblica spiegando: «Sono giunto alla conclusione che la politica è una questione troppo seria per essere lasciata ai politici». Frasi di questo genere facevano presa sull’elettorato che lo vedeva come un eroe-garanzia. De Gaulle venne rieletto a suffragio universale nel 1965 a Presidente della (Quinta) Repubblica che aveva fondato. Sciolta l’Assemblea Nazionale durante la crisi sessantottina, la ripristinerà dopo un trionfo elettorale schiacciante, quando il suo movimento ottenne quattro quinti dei seggi. Il 27 aprile del 1969 Charles De Gaulle perse il referendum su minori modifiche costituzionali. Uscì dall’Eliseo a testa alta, dopo dieci anni di potere ininterrotto, ma sua battaglia per stabilire il concetto di “grande Francia” in patria e all’estero non l’abbandonò mai.
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su L’Osservatore)