Italia e Russia, oligarchia e libero mercato

Italia e Russia sono molto più simili di quanto si direbbe. I legami tra i due paesi sono antichi e dettati in particolar modo dalle esigenze energetiche (rapporti ENI-Rosneft). La Russia non è di facile comprensione per gli osservatori occidentali. A parte che essa «non può essere una democrazia perché se lo fosse non esisterebbe», come ha scritto Lucio Caracciolo (la Repubblica, 7 marzo 2015), sono interessanti le mutazioni che si sono susseguite negli ultimi trent’anni sul suolo post-sovietico. Dal canto suo, negli ultimi trent’anni, anche l’Italia è cambiata molto ed è diventata via via più indecifrabile in termini di visione strategica e politica estera. La Russia è grande sessanta volte l’Italia, con la popolazione di italiani e tedeschi sommati. Ed è un gigante politico, ma nano economico. L’Italia, d’altra parte, ha progressivamente scelto di vestire i panni del secondo, senza mai indossare quelli del primo.

Un elemento importante che accumuna Italia e Russia è il fatto che molte aziende sembrano non trovare il clima idoneo per fare impresa. Cosa che le costringe a fuggire all’estero. Nel caso russo, molte hanno abbandonato il paese a causa del prezzo delle sanzioni internazionali. Fare libera impresa in Russia è molto difficile. Entrambe le realtà presentano una corruzione sistematica e un intricato sistema burocratico spesso inefficiente. D’altra parte, alcuni osservatori ritengono che non bisognerebbe essere troppo severi nei confronti dei due. Enzo Bettiza (La Stampa, 9 dicembre 2003) scrisse che «è meglio di cercare di capire quello che veramente bolle nella surriscaldata e sterminata pentola russa, piuttosto che fare la morale ai russi agitando il mestolo della democrazia perfetta. Il gollismo moscovita […] non tornerà più indietro ma non sarà mai la fotocopia delle sofisticate costruzioni liberali dell’Occidente».

Altro elemento che accomuna Italia e Russia è che in entrambi c’è una cultura ostile nei confronti del libero mercato. Lo statalismo imperante permea gli ambienti economici delle rispettive realtà sociali. Non stupisce il prezzo in termini di tangenti per assicurarsi appalti e commesse statali da parte di molte imprese. Come ha scritto Angelo Panebianco (Corriere della Sera, 4 aprile 2020) «in Italia tanti di coloro che fanno parte della classe politica sono stati indottrinati contro il mercato fin da quando andavano a scuola. Non pochi sono i nemici della società industriale, quelli che auspicano una radicale de-industrializzazione del Paese». Il risultato è che oggi il libero mercato è debole e un enorme potere è concentrato negli apparati dell’Erario. Scenario simile a quello russo. Come in Italia, la semi-assenza di una borghesia non rende possibile lo sviluppo di un mercato concorrenziale virtuoso.

Come ha scritto Sergio Ricossa (Straborghese) «bisogna convincersi che il mercato è un sistema economico non solo borghese, ma sociale e democratico, poiché dà spazio a tutti, e che al contrario il suo antagonista, il piano, è di regola aristocratico, oligarchico». Negli ultimi trent’anni la Federazione Russa si è aperta al libero mercato e alla libera impresa, ma le strutture oligarchiche che comandavano in URSS non solo sono rimaste intatte. Il “Corvo bianco” Boris Eltsin difese la Russia dai colpi di coda del Comunismo dell’inizio degli anni Novanta e dall’apparato burocratico consolidato da oltre settant’anni. Tuttavia, sotto la sua guida avvenne la grande rapina di Stato, per cui i dirigenti delle aziende statali rilevarono i colossi che dirigevano in epoca comunista, arricchendosi illegalmente. Questo ha creato un grande danno per l’intera società russa; la cui ricchezza è tutt’ora nelle mani degli oligarchi.

Essi hanno poi il controllo dei media. Se l’informazione oltre l’ex cortina in epoca sovietica veniva gestita e organizzata dal PCUS, con la caduta del regime comunista gran parte dei media sono passati sotto l’ala dell’oligarchia. Sarebbe scorretto dire che in Italia vige un’oligarchia così ossificata come quella russa. Tuttavia, al Belpaese la fatica nel fare libera impresa, la burocrazia imperante, l’elevata corruzione (evasione e dunque tassazione), non sono tematiche sconosciute. Alberto Forchielli (Il potere è noioso) azzarda ipotesi sul futuro dell’Italia. Che «tra vent’anni sarà un paese in stile sovietico, pieno di pensionati e con una miriade di poveri. L’unica incertezza sul nostro futuro è legata ai ricchi. Probabilmente scapperanno all’estero oppure si rifugeranno in compound, vivranno in comunità circondante e protette da guardie armate come in Sudamerica, per salvarsi dalla microcriminalità che crescerà esponenzialmente».

Infine, «l’Italia del 2040 sarà identica ai paesi comunisti degli anni Ottanta». Indro Montanelli scrisse che «il capitalismo, in Italia, è responsabile di tantissimi guai […]. Intanto, non essendoci stata una riforma protestante, non ha una base morale, perché la riforma protestante diede al capitalismo una concezione religiosa di se stesso […]. In secondo luogo, il capitalismo italiano è stato sorpreso dalla grande ondata socialista quando ancora non si era fatto le ossa […]. Così […] il Socialismo non è riuscito a svolgere la sua funzione di anticorpo, di correttivo del capitalismo, che è una funzione utilissima. Sono nati assieme e l’uno ha corrotto altro». Sostituire la parola “Italia” con la parola “Russia” fa intuire quanto i due paesi siano più vicini di quanto si pensi.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su neXtQuotidiano)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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