Albert Camus, straniero assurdo e controcorrente

Antifascista convinto (nel 1933 aveva aderito al movimento Amsterdam-Pleyel) e anti-totalitarista («la libertà non è che una possibilità di essere migliori, mentre la schiavitù è certezza di essere peggiori») Albert Camus non era il classico intellettuale francese della seconda metà del secolo scorso. Era uno straniero. Un irregolare. Uno scomodo. «Siate realisti: chiedete l’impossibile» è l’aforisma che più di tutti lo definisce come scrittore che amava giocare sul precipizio del paradosso. Orfano di padre – morto nella battaglia della Marna un anno dopo la nascita del figlio – nel 1935 lo scrittore franco-algerino aderì al Partito Comunista Francese. Tuttavia, ne prese prsto le distanze e si definì quindi anarchico. Scoprì Max Stirner e il suo L’unico e la sua proprietà, ma rimase un sincero democratico. Teneva alla democrazia e la considerava un bene per la Francia e l’Europa.

Come George Orwell (con il quale partecipò nel marzo 1945 ad una manifestazione per la costruzione degli “Stati Uniti d’Europa”) e Hannah Arendt (come lui, rappresentante di una sinistra liberale) Camus era fondamentalmente un uomo solo. In un’epoca in cui molti intellettuali difendevano i moti indipendentisti violenti in ogni angolo del pianeta, Camus non nascose mai le profonde preoccupazioni per la deriva terroristica sviluppatasi nella sua Algeria, dove era nato nel 1913. Camus era un patriota, non un nazionalista: amava l’Algeria, così come la Francia. Condannava la guerra e le dittature che aveva visto sorgere da ragazzo e prosperare in gioventù. Nel 1950 venne allontanato dal PCF, raggiungendo così, tra gli altri, Raymond Aron, Léon Blum e André Gide nel club degli epurati. «La bellezza non fa le rivoluzioni, ma viene un giorno in cui la rivoluzione avrà bisogno della bellezza», commentò.

E la rivoluzione, secondo Camus, non era attuabile in un’ottica marxista. Osteggiato dall’ex amico Jean-Paul Sartre in occasione dell’uscita de L’uomo in rivolta (1951), si è sempre espresso contro i crimini dell’Unione Sovietica. Quella acclamata dal circolo intellettuale di mezza Europa, che sembrava chiudere gli occhi sui gulag staliniani. Mentre in Italia i maggiori intellettuali dell’epoca firmavano il “Manifesto dei 101”, Albert Camus si espresse prima di tutti senza esitazione contro l’intervento sovietico in Ungheria nel 1956. Il premio Nobel per la Letteratura dell’anno seguente gli valse non poche critiche. Molti dimenticano la sua attività di drammaturgo, sacrificata sull’altare del ricordo della sua produzione letteraria, in particolare La peste del 1947 e Lo straniero (1942). Estremamente curioso, Camus ha sempre appagato la sua sete di sapere e il suo Europeismo con lunghi soggiorni nel cuore e nella periferia del Vecchio Continente.

Nell’Europa post-bellica, lo scrittore passò dalla Savoia alla Provenza, dalla Grecia alla Cecoslovacchia, dall’Austria all’Olanda. Sempre accompagnato da una micidiale tubercolosi che lo tormentava sin dalla primissima adolescenza. «Bisogna amarsi molto per suicidarsi» scrisse. Il tema della morte Camus lo toccò più volte nelle sue produzioni letterarie, specialmente ne Il mito di Sisifo (1942), opera massima della corrente dell’assurdo di Franz Kafka, Eugène Ionesco e Samuel Beckett. Controcorrente, lapidario e categorico, Albert Camus non riuscì a compiere l’atto estremo di porre fine alla sua vita. Quanto meno, non da solo: fu un tragico incidente d’auto che portò via lo scrittore solitario e anticonformista, il 4 gennaio di sessant’anni fa. Nelle sue tasche fu ritrovato un biglietto per il treno che aveva deciso di non prendere all’ultimo minuto. Una fine assurda per chi aveva scritto che «Non essere amati è una semplice sfortuna; la vera disgrazia è non amare».

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su Immoderati)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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