“Economia e sfide della politica” è il titolo ambizioso dell’incontro tenutosi ieri mattina presso l’Università della Svizzera Italiana e organizzato dall’Executive Master in Business Administration della Facoltà di Scienze Economiche. Ambizioso perché non è sempre facile. Dopo i saluti di Boas Erez – rettore dell’USI – e di Patrick Gagliardini – decano della Facoltà – Antonio Mele ha esordito con il tema delle pensioni il rapporto con la politica. Una riforma deve essere capita in una popolazione. Non è un semplice decreto approvato dal Parlamento, ma deve entrare nei costumi dei cittadini. I quali, si spera, dovrebbero tentare di comprendere la necessità della stessa, senza affidarsi all’uso spesso spregiudicato della spesa pubblica, «cemento a presa rapida del consenso», citando Ugo La Malfa. Ospiti alla conferenza dell’EMBA anche Alessandro Galimberti, giornalista de Il Sole 24 Ore e Luca Soncini, membro CdA della Banca dello Stato del Cantone Ticino.
Nel suo intervento Soncini ricorda un’epoca assai feconda per le riforme. Parliamo del 1989. Trent’anni fa le logiche di Yalta sono saltate e i fatti conseguenti alla caduta del Muro di Berlino «hanno creato dei perdenti. E la classe liberale centrista non ha saputo mitigare gli effetti della globalizzazione». I risultati? «Si vedono in questi ultimi da Donald Trump ai gilet gialli, dal post-elezioni del 4 marzo in Italia alla Brexit». Moti di ribellione contro l’establishment, punito nelle urne in diversi paesi che per troppi anni hanno posticipato il tema delle riforme. In questo campo, la parola passa ad Elsa Fornero, ospite d’onore della mattinata. Professoressa presso l’Università di Torino, ex ministra del Lavoro nel Governo Monti (2011-2013), esordisce parlando del dialogo.
Una parola oramai lontana non solo dalle agende politiche di molti leader politici, ma anche un modo di comunicare pacato e civile che al giorno d’oggi sembra essere scomparso. Quello per la difesa e la promozione del dialogo civile per Fornero è «un grande impegno che ho preso da tempo». Una piccola luce di civiltà nell’era dell’urlo sguaiato di apprendisti stregoni che erodono la fiducia di mercati e investitori con imprudenti dichiarazioni. Soggetti che non propongono riforme per rilanciare il paese, ma esibiscono con i muscoli gonfi di retorica “sovranista” da una parte e dell’“uno vale uno” dall’altra. Il dialogo aperto e schietto è espressione della civiltà di un paese. «Quando eravamo al governo come tecnici era difficilissimo “parlare con il popolo”, come di dice oggi. Noi non avevamo un partito, né un sindacato».
Poi un’amara considerazione. «In questi anni ho cancellato dal mio vocabolario la parola “spiegare. Una parola molto impopolare, perché oggi la reazione è: “Chi sei tu per spiegare qualcosa a me?”». Per almeno tentare di instaurare un dialogo civile anche su tematiche di contrasto, Fornero racconta di recarsi spesso in diversi paesini del Nord Italia per cercare di istaurare un dialogo e spiegare la riforma che porta il suo nome. «Sono certa, ci sono tante persone che non si accontentano dello slogan». La politica – «che deve riacquisire lungimiranza» – secondo Fornero deve essere separata dai tecnici. «I governi devono essere politici e non tecnici, ma ci vogliono dei tecnici che aiutino i politici a prendere delle decisioni. Non avrei mai accettato di far parte di un governo che fosse guidato da un politico. Avrei detto: “non è il mio lavoro”».
Ma con lo spread tra i titoli di Stato tedeschi e quelli italiani a oltre cinquecento punti base, la professoressa ha «accettato l’offerta di Mario Monti di diventare ministro del Lavoro. Erano le ventuno e trenta del 15 novembre 2011 quando mi chiamò». Quindici secondi di convenevoli e poi fino alle ventitré per decidersi. E il giorno dopo, alle diciassette, era ministro. «Ho pensato che il paese in quel momento fosse pronto per imboccare una strada di cambiamento rispetto ai vent’anni precedenti nei quali per povertà di guida politica i politici non sono stati in grado di offrire una via al paese. Credevo che il paese fosse pronto, ma non potevo immaginare le difficoltà. Non c’era tempo: si aspettava una crisi imminente». E i giornali di allora – tra cui quello di Galimberti che in quei giorni titolò “Fate presto!” – raccontavano un’atmosfera da trincea.
Per salvare i bilanci del Belpaese ci volevano riforme radicali: dure, ma necessarie ad evitare il naufragio dello Stato. «“Hai due settimane, massimo venti giorni per fare la riforma delle pensioni” mi disse Monti». E così fu: la riforma delle pensioni Fornero nacque il 6 dicembre 2011 e venne approvata all’unanimità dal Parlamento italiano, con l’eccezione dell’Italia dei Valori e della Lega. «Le pensioni sono un tema abbastanza complesso» conclude Fornero «ma sono sulla bocca di tutti. In Italia sono due i temi che accendono gli animi: il calcio o di pensioni». Secondo Fornero, «le riforme devono vivere nella società. La riforma non è tale solo nel momento in cui il Parlamento l’approva, ma quello che conta è quando e quanto la società si appropria delle riforme stesse. Le riforme sono fatte per cambiare in nostro comportamento. Non per difendere il passato, ma per livellare l’effetto dei cambiamenti nel futuro».
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su L’Osservatore)