Vita, morte e (pochi) miracoli dei partiti politici

I partiti politici sono morti? E in caso contrario, in che stato di salute sono? Con il declino della politica e dell’interesse di molti cittadini nella stessa si intreccia anche la crisi della loro missione storica. I cosiddetti populismi, risultato e non frutto di questa crisi, sono animati in parte da una crescente voglia di “nuovo”. Una voglia che i partiti politici tradizionali non sembrano in grado di offrire oggi. Non importa cosa sia il nuovo e da chi o cosa sia rappresentato. L’importante sembra essere il “cacciare via quelli là”, ovvero i componenti della classe politica vigente, le élite. Queste, in effetti, colpevoli di guardare ad una società nuova con schemi vecchi e oramai inadeguati. Lo spirito del tempo impone nuovi linguaggi e nuovi formati: i partiti politici saranno in grado di rinascere in questo senso?

Morena Ferrari Gamba, che con il Circolo Battaglini ha organizzato la conferenza «Fare politica senza i partiti?», si pone questa domanda. E la pone anche agli ospiti della serata del 24 gennaio all’Università della Svizzera Italiana. Moderato da Fabio Pontiggia, direttore del Corriere del Ticino, il dibattito tra Oscar Mazzoleni (professore di Scienza Politica all’Università di Losanna) e Salvatore Veca (filosofo e accademico italiano), tenta di dare una risposta a questo e ad altri quesiti. «I partiti politici oggi», spiega Mazzoleni, «sono identificabili dai concetti di crisi, persistenza, diversità e complementarità. Essi rispondono ad un obiettivo elettorale». La creazione dei gruppi parlamentari, le votazioni e la conseguente costruzione di un senso di appartenenza rispondono ad un obiettivo ideologico-identitario della società.

«La crisi dei partiti politici fa sì che per questi cessino le tre funzioni principali che essi hanno avuto nel ventesimo secolo. Obiettivi elettorali, istituzionali, valoriali. Il partito di massa è tramontato e per certi versi è scomparso». I membri del partito di massa mettevano tutto se stessi a disposizione della causa in cui credevano. Dunque, sembrerebbe che il partito di massa sia un’organizzazione paramilitare, uno Stato nello Stato. «I paesi che non hanno avuto partiti comunisti» ricorda Mazzoleni, «sono quelli in cui anche gli altri partiti hanno avuto organizzazioni a latere molto più leggere». Con la caduta dei regimi comunisti nell’Europa centro-orientale, il mondo conobbe una nuova fase che fu guidata proprio dai partiti politici. Nel lungo periodo «i partiti nati nel secondo Dopoguerra si sono trasformati in vittime dei processi di modernizzazione, dei nuovi movimenti di protesta, del ruolo crescente dei media capaci di plasmare la comunicazione politica».

Mazzoleni illustra poi l’anatomia dei partiti moderni. «Non si organizza una macchina di partito uguale in ogni circostanza». E i partiti politici devono essere in grado di cambiare, altrimenti vengono spazzati via. In tal senso, «è importante tenere conto della retorica antipartitica», che ciclicamente si presenta nel dibattito pubblico. «Sono tre le sfide che oggi i partiti devono affrontare», continua Mazzoleni. «Mediatizzazione (il marketing politico, saper comunicare ad un pubblico distratto che spesso si astiene), personalizzazione (fare credere che esistono anche le persone e non solo le idee), legame col territorio (che fa un partito persistente)».

Salvatore Veca spiega che la risposta alla debolezza delle associazioni politiche è da cercare nell’elevarsi del potere economico-finanziario. «I processi di trasformazione e di mutamento dei partiti», dice l’accademico, «conoscono una forte accelerazione negli ultimi venticinque-trent’anni». Dal 1989 in poi, «molti hanno avuto maggiore difficoltà di funzionamento. A partire dalla fine della Guerra Fredda, la politica ha rivelato le sue debolezze». Se d’altra parte, il sistema dei partiti di sinistra in Occidente ha goduto di notevole salute fino al 1989 specialmente in Sud Europa, oggi i loro eredi non se la passano bene.

«La crisi dei partiti e della forma partitica è anche la crisi dei partiti socialdemocratici», questi staccati dalle masse popolari che dicevano di difendere. In particolare, i partiti socialdemocratici «sono stati in grado di lavorare in connessione con i poteri globali finanziari. Da qui la nascita di movimenti non solo antipolitici, ma anche anti-élite». Secondo Veca, «in realtà oggi non c’è una dissoluzione dei partiti, ma un cambiamento dato dal contesto». Essi si adattano e si trasformano; «basti pensare all’appello ai forgotten men del Partito Repubblicano negli Stati Uniti. Indice di una crisi di rappresentanza». E di volontà di “nuovo” in politica. Un segno che i partiti non sono morti, ma di certo non stanno molto bene.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su L’Osservatore)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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