L’uccellaccio pestifero

Sembravano uccellacci del malaugurio e in effetti lo erano. Come ogni avvoltoio che si nutre di carogne e carcasse, così gli inquietanti medici del Seicento facevano piazza pulita quando venivano chiamati dai parenti disperati di un ammalato di peste. L’analogia tra l’uccellaccio e la maschera a becco che questi medici indossavano è evidente. Il dottore della peste si aggirava nelle città colpite dal morbo come un oscuro presagio. La “morte nera” – anche se il termine venne coniato per identificare l’epidemia nel Trecento – colpì duramente l’Europa nel diciassettesimo secolo. Si pensava fosse una maledizione di Dio o l’anticipo di una dannazione infernale. Anni dopo si scoprì che gli agenti principali del morbo non erano gli untori che pennellavano la malattia sulle porte delle case, quanto i ratti che giungevano nel Vecchio Continente erano veicoli della malattia.

Ma quando i medici della peste operavano in tutta Europa l’attenzione non fu rivolta verso i sorci. Il misto di ignoranza e paganesimo trovava la sua conferma nel miscuglio di erbe, spezie e aromi che venivano infilate nella maschera dall’enorme naso adunco e che fungevano da filtro e quindi protezione dalla malattia bubbonica. Una maschera grezza e rudimentale che copriva il volto dei medici, vestiti con una lunga palandrana nera, guanti scuri e cappuccio. A cavallo tra il lungo becco bianco e gli occhi, delle lenti trasparenti. Caratteristica dei medici di allora, la lunga bacchetta che tastava il malato e alzava le coperte di un letto infettato dal morbo. Chi vedeva questo tetro personaggio addentrarsi nei luridi vicoli delle città afflitte dalla peste per curare un povero disgraziato, non stava tranquillo.

Considerato abbastanza grottesco, l’abito del medico della peste divenne in seguito una delle più importanti maschere del Carnevale veneziano. La Serenissima fu colpita dalla peste verso la metà del Cinquecento, ma tramite la figura del dottore stesso la tragedia sarebbe diventata una delle principali maschere carnevalesche veneziane. La festa gioiosa della città veneta ha imposto radicali modifiche a quello che è diventato il vero e proprio “costume del medico della peste”. Scarpe con fibbie dorate, calze chiare fino al ginocchio e pantaloni alla zuava bordeaux, camicia bianca e tunica scura, gorgera. E poi, ancora, la maschera dal becco adunco, in cartapesta bianca: non più simbolo di presagi tenebrosi di un infausto uccellaccio, ma di risate da Paese dei Balocchi.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su L’universo)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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