Mario Cervi: quel cremasco gentile e battagliero

Tre anni fa se ne andava uno degli ultimi signori del giornalismo italiano di classe. Mario Cervi si è spento a Milano il 17 novembre del 2015, all’età di novantaquattro anni. Un esempio di coerenza, pacatezza, mitezza, limpidezza e umiltà. Queste, le doti essenziali per chiunque voglia tentare di fare il suo mestiere. E in troppi vorrebbero farlo e non dovrebbero; e in troppi lo fanno male e non dovrebbero. Le querele che ha ricevuto in quasi tre quarti di secolo di giornalismo si contano sulle dita di una mano, la sua cultura era sterminata. Un archivio, un’enciclopedia umana. Energico, caparbio e dolce. A poco meno di un secolo di vecchiaia, Mario Cervi è rimasto giovane dentro. Essere giornalista gli piaceva, ma al contempo il Nostro si sentiva ancora un cronista. Un “cronista da editoriali”. Ad alcuni redattori chiedeva se il pezzo che aveva scritto andasse bene.

Come se l’ultimo ragazzino con le mani tremanti e il sudore alle tempie potesse dare il suo nulla osta all’elzeviro di uno dei grandi nonni da macchina da scrivere. Mario Cervi ha avuto la particolarità di essere l’unico apprendista-coetaneo di Indro Montanelli. Con lui, dopo essere succeduto al giovanissimo Roberto Gervaso, ha firmato la Storia d’Italia. No, non solo la splendida collana che ripercorre le vicende del Belpaese, ma anche quella del giornalismo e della Storia dello Stivale. «Ci vuole classe, del resto» ricorda Luigi Mascheroni – che ha intervistato Cervi nel libro Gli anni del piombo – «per stare una vita accanto a Montanelli, come “secondo”, parlandone sempre, da amico, come il “primo” di tutti». La guerra l’ha scritta nei libri e l’ha combattuta dal vivo, da giovane ventenne, quando fu mandato dal regime fascista nel fango di Grecia.

Catturato dai nazisti dopo l’8 settembre 1943 (nel 1946 Cervi voterà per la repubblica, Montanelli per la monarchia), due anni dopo è già al Corriere della Sera. In Via Solferino si occupò di tutto dalla cronaca giudiziaria al terrorismo, che sparava i suoi primi colpi anche su carta a partire dal 1969, dopo la Strage di Piazza Fontana. Da Milano viene mandato sul campo della Storia. Segue in diretta la crisi di Suez, ma anche il golpe dei colonnelli in Grecia. L’11 settembre 1973 è uno degli unici tre giornalisti italiani che assiste al golpe di Augusto Pinochet e la morte del Presidente Salvador Allende. L’anno dopo, in luglio assiste all’invasione turca di Cipro. I primi anni Settanta sono anche quelli del fermento in Via Solferino. Dopo quasi trent’anni, Mario Cervi lascia il Corriere, aprendo la sua seconda fase di vita giornalistica.

Con Enzo Bettiza, Gianni Granzotto, Guido Piovene, Gian Galeazzo Biazzi Vergani, Leopoldo Sofisti, Cesare Zappulli, Renzo Trionfera, Egisto Corradi nell’autunno 1973 si ribella alla virata a sinistra voluta da Giulia Maria Crespi. Segue Montanelli nell’avventura di Piazza Cavour. Il Giornale nuovo è del 25 giugno 1974. Editorialista principe nel giornale di Via Negri, Cervi è stato anche un grande esempio di fedeltà. Il “suo” Indro non lo avrebbe mai mollato. Neppure quando questi, si buttò nell’esperimento de La Voce, nata qualche giorno prima delle elezioni del 1994. Dopo il naufragio del quotidiano in stile prezzoliniano, Cervi scrive per il Resto del Carlino e La Nazione. Accetterà in seguito la direzione del Giornale dopo Vittorio Feltri, che lo aveva proposto al comando del quotidiano. Nel marzo 2001 lascia il posto a Maurizio Belpietro, ma fino al giorno della sua morte si è recato in ufficio davanti al computer.

A differenza del fondatore del Giornale, Mario Cervi apprezzava il mondo digitale. La scrittura, per lui, era una passione, uno sfogo, così come lo erano le auto, il tennis e il bridge. Un signore educato: un uomo di una volta. Anzi: un galantuomo di una volta (visto che sempre più spesso oggigiorno si dubita dell’esistenza di questa categoria). I grandi “grandi” del giornalismo si sono estinti o quasi; e comunque si contavano sulle dita di una mano. Sono rimasti i piccoli dei “grandi”. Mario era a cavallo tra queste due categorie. E oggi manca a tanti. A tutti i giornalisti del Giornale e ai suoi affezionati lettori. Mario Cervi è morto verso le otto e trenta di mattina. Era l’ora di iniziare a lavorare, ma lui sarebbe stato già sveglio da ore. Il suo nuovo datore di lavoro gli avrebbe fatto scrivere dalle nuvole del cielo.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su L’Osservatore & Radio Pensiero FM)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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