L’Antisemitismo in Romania si è manifestato ben prima della Shoah in Transilvania e Valacchia. Ritenuta fuori dai flussi della Storia, troppo nell’entroterra senza essere il granaio ucraino per la Russia, troppo a Nord per toccare l’Egeo, per secoli la Romania è stata disprezzata dalle aristocrazie europee. E in primis dall’impero austroungarico e quello russo, che erano i partner più naturali di Bucarest. Nonostante fosse un pozzo di cultura, piccolo reame tra imperi, una frontiera tra Occidente e Oriente, il paese non era situato nei progetti di ambizione territoriale dei sovrani dell’Europa occidentale. Progressivamente, dunque, l’intellighenzia delle grandi città romene iniziò a guardare alla Francia come evoluzione politico-culturale. Alcuni intellettuali romeni sognarono di trasformare la capitale romena nella Parigi dell’Est. Il processo di unificazione della Romania avvenne solo nel 1878, quando lo Stato ricevette riconoscimento internazionale. E dalla Belle époque francese il paese dei Carpazi prese solo il rampante l’astio antigiudaico.
L’Antisemitismo in Romania era radicato da secoli – il più noto poeta romeno dell’Ottocento, Mihai Eminescu, aveva composto diversi versetti antisemiti. Nella Prima Guerra Mondiale il paese raggiunse l’Entente nell’estate 1916, ma presto soccombé agli imperi centrali. Quando la guerra finì la nuova Costituzione romena prevedeva l’esclusione degli ebrei dalla cittadinanza del neonato Stato. Nel 1918, la Romania aveva beneficiato di importanti territori, a spese dell’Ungheria, mutilata dal trattato di Trianon del 1920. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il paese maturò una fama di Antisemitismo impressionante. La brutalità con cui gli ebrei rumeni furono eliminati scosse persino i nazisti. Il genocidio ebraico animato dall’odio antigiudaico diffuso e stratificato in Romania fu particolarmente cruento: si collegava al fanatismo religioso cristiano radicato nel paese. La stagione dei diritti degli ebrei durò dal 1923 al 1934.
Bucarest entrò poi in guerra nel febbraio 1941 come Stato vassallo della Germania nazista, che dalla regione sul Mar Nero importava diverse risorse naturali. Nelle campagne rumene, l’Antisemitismo cresceva assieme al consenso per le forze fasciste e nazionaliste, nonché per l’odio antibolscevico e l’ingombrante vicino sovietico. Gli ebrei – circa settecentocinquanta mila alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, il due per cento della popolazione romena, nonché la terza comunità ebraica d’Europa – vivevano nelle grandi città. E negli anni Trenta erano stereotipati, come avveniva nell’Europa occidentale, dal movimento di estrema destra della Guardia di Ferro di Corneliu Condreanu. Il template era sempre lo stesso: l’ebreo responsabile di deicidio, l’ebreo accumulatore di denaro. Fascista convinto, Condreanu aveva conferito una dimensione ultrareligiosa cristiana, nazionalista, anticapitalista e anticomunista all’Antisemitismo in Romania. Un qualcosa che non apparteneva alla Germania di Adolf Hitler, tantomeno all’Italia di Benito Mussolini, che del Fascismo clericale non ne volevano saperne.
Guidata da Ion Antonescu – Primo Ministro e Conducător dal settembre 1940 all’agosto 1944, cresciuto nel culto di Condreanu e che costrinse Re Carlo II ad abdicare – lo Stato romeno importò e affinò nel paese le misure antisemite del Terzo Reich. Nella gazzetta ufficiale, il Monitorul Oficial, vennero pubblicate trentadue leggi e trentun decreti di caratura antisemita. Il governo fascista mise in giro la falsa voce secondo cui gli ebrei incitavano la popolazione contro il regime e favorivano i comunisti sovietici. Non era vero. L’episodio più grave di barbarie antiebraica si verificò tra il 28 e il 29 giugno 1941. Ovvero, qualche giorno prima la Germania aveva lanciato l’operazione Barbarossa per l’invasione della Russia a cui la Romana partecipò. Il cosiddetto pogrom di Iași fu uno dei più tremendi nella Storia europea. E venne scatenato dalle forze del regime militare, sotto il quale perirono per l’occasione oltre tredicimila ebrei.
Seguì poi il massacro di Odessa. Tra il 22 e il 24 ottobre 1941 dai venticinquemila ai trentaquattromila ebrei vennero uccisi o bruciati vivi dalle forze di occupazione. I sopravvissuti vennero evacuati nel gennaio 1942 e trasferiti in una lunga marcia della morte fino ai campi di concentramento limitrofi. Quando le truppe sovietiche “liberarono” la regione, nell’aprile 1944, a Odessa erano rimasti poco più di settecento ebrei vivi. Prima della guerra erano circa centottantamila. Il regime di Antonescu, ha scritto Hannah Arendt ne La banalità del male, «varò anche le leggi antiebraiche che furono le più severe d’Europa […]. Lo stesso Hitler intuì che in questo campo la Germania rischiava di farsi battere dalla Romania». D’altra parte, «Non è un’esagerazione dire che già nell’anteguerra la Romania era il paese più antisemita d’Europa».
Difatti, già «nel 1878 le grandi potenze avevano cercato di intervenire, mediante il Trattato di Berlino, e d’indurre il governo rumeno a concedere la cittadinanza ai suoi abitanti ebrei, sia pure lasciandoli al rango di cittadini di seconda classe». Le modalità dello sterminio, dopo le strazianti evacuazioni e deportazioni per l’Europa orientale, furono particolarmente crude, specialmente nella regione della Transnistria, piena di fosse comuni, dove assieme agli ebrei perirono anche molti ucraini. La successiva rottura con Hitler da parte di Antonescu non fa differenza nel numero astronomico di vittime nel breve periodo di terrore antiebraico in Romania. Tuttavia, le responsabilità della popolazione che aveva covato e nutrito l’Antisemitismo nei decenni non possono essere dimenticate. «Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più», ha scritto Arendt.
Sebbene la sconfitta dell’Asse a Stalingrado cambiò le sorti della Guerra e inclinò la relazione Bucarest-Berlino, non si può obliare l’efferatezza del destino degli ebrei e dell’Antisemitismo in Romania negli anni Quaranta. Antonescu rifiutò di trattare la resa con i sovietici e non voleva apertamente tradire l’alleato tedesco. Re Michele I, figlio di Carlo II – che aveva simpatizzato con la Guardia di Ferro per poi bandire il movimento nel 1938 – lo convocò al Palazzo Reale. Lo destituì e lo fece arrestare; fu consegnato ai sovietici, che lo fucilarono nel giugno 1946. Le motivazioni erano legate ai rapporti con i nazisti, più che alla morte di centinaia di migliaia di ebrei nell’Olocausto e di cinquemila Rom. Considerati agenti dei comunisti, spie, antinazionalisti, migliaia di ebrei romeni non vennero inghiottiti sono a Iași e Odessa.
Rappresaglie antiebraiche si verificarono anche Bogdanovka e Akmecetka. Antionescu, la cui matrigna e prima moglie erano ebree, secondo un rapporto di Elie Wiesel venne ritenuto personalmente responsabile dell’Olocausto degli ebrei romeni. Tuttavia, è difficile immaginare un odio così strutturato, se l’Antisemitismo in Romania non fosse stato così radicato. «Il metodo rumeno di deportare gli ebrei consisteva nell’ammucchiare cinquemila persone in carri-bestiame e nel lasciarle morire per soffocamento mentre il treno per giorni e giorni viaggiava senza meta per la campagna. Dopo di che, uno dei divertimenti preferiti consisteva nell’esporre i cadaveri nelle macellerie ebraiche», ha ricordato Arendt. Erano circa ottocentocinquanta-mila gli ebrei rumeni; alla fine della guerra ne rimasero la metà.
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su L’universo)