Qual è il rapporto tra immigrazione e liberalismo? Complice la pandemia di Covid-19, il tema dell’immigrazione è scomparso dai media e dalle gole dei politici demagogico-populisti. Tuttavia, non si può dire altrettanto dei problemi, delle sfide e delle opportunità che questa pone a singoli stati. Secondo il rapporto Eurispes 2018, solo il ventinove per cento dei cittadini italiani è a conoscenza del numero reale degli stranieri in Italia. Questi, pari all’otto per cento della popolazione. Oltre la metà degli intervistati sovrastima la presenza degli immigrati nel paese. Per il trentacinque per cento degli italiani, gli stranieri sarebbero il sedici per cento. Per un altro venticinque per cento sarebbero il ventiquattro per cento della popolazione complessiva. La prospettiva liberale in materia di immigrazione offre un contributo antipopulista, antipopolare e pragmatico nell’approccio alla tematica.
Nel suo La verità, vi prego, sul neoliberismo, Alberto Mingardi analizza il rapporto tra immigrazione e liberalismo. Egli è preoccupato per «gli intolleranti che non esigono alcun tipo di immigrazione e confondono appositamente l’immigrazione legale da quella illegale formulando sotto l’etichetta di clandestini qualsiasi movimenti umani che varcano i sacri confini patri». Mingardi s’inserisce nella tradizione liberale di società aperta di Karl Popper, per cui gli spostamenti di persone, forza lavoro, denaro e merci non devono essere preclusi. «Impedire di spostarsi legalmente fa semplicemente sì che coloro che lo desiderano davvero si sposteranno illegalmente. Se vogliamo meno immigrazione illegale, dobbiamo essere pronti ad avere più immigrazione legale». Gli strumentalizzatori sciovinisti del law and order brandiscono frasi fatte in materia di immigrazione.
Tuttavia, questa dovrebbe essere gestita al netto della retorica populista e della strategia della paura. «Il bravo demagogo sa che non basta far leva sulla nostra naturale diffidenza per il diverso: […] bisogna alimentarla, questa diffidenza, rendendo plasticamente evidente come il diverso sia una minaccia». E per convincere molti di ciò, è opportuno spiegare come gli immigrati abbiano il solo obiettivo di vivere alle “nostre” spalle. L’idea del parassitismo è particolarmente efficace nell’immaginario collettivo. La sola idea che dei “terzi”, degli “altri”, dei “diversi” possano in qualche modo rilevare le risorse del welfare predisposte per i cittadini è percepita come inaccettabile. E autorizza – nella logica degli anti-migranti – politiche di repressione o stigmatizzazione dei fenomeni migratori. L’odio di molti nei confronti dei migranti è la paura che lo Stato distribuisca le risorse del welfare a questi ultimi, piuttosto che agli autoctoni.
In altre parole, la paura per l’immigrazione è la paura di non potersi più accaparrare servizi, agi, lussi, prebende, assegni, sussidi e aiuti dallo Stato. Gli avversari dell’immigrazione mettono in conflitto immigrazione e Stato sociale. Al posto di preoccuparsi di come produrre più ricchezza, credono che questa sia fissa. «I nuovi arrivati trarrebbero beneficio da tutta una serie di beni […] che altri hanno pagato ieri», elabora Mingardi. «È indubbiamente vero che un immigrato appena sbarcato in Italia non ha pagato per la costruzione dell’Autostrada del Sole, ma nemmeno io». Tra il 1890 e il 1930, quindici milioni di italiani hanno lasciato il loro paese. E quelli che arrivavano ad Ellis Island non venivano neppure schedati come “bianchi”. Molti demagoghi stimolano milioni di cittadini contro la globalizzazione, canalizzando la paura dell’immigrazione verso la limitazione dei movimenti, la chiusura delle frontiere e il ritorno del nazionalismo.
La gestione dello Stato dei flussi migratori ha certamente evidenziato grossi limiti negli anni e ha incrementato il sentimento di sfiducia di molti nei confronti non solo della gestione del fenomeno, ma anche nei confronti dei “diversi” che entravano nel paese. «Gli italiani sembrano essere preoccupati non tanto dell’immigrazione in sé, ma dell’immigrazione gestita dallo Stato italiano […]. Pensiamo alla sicurezza e ai problemi dell’ordine pubblico, al degrado del decoro urbano, alle case popolari […]. Nessuna di queste cose è stata causata dai flussi migratori: le deficienze, i problemi della Pubblica Amministrazione sono una realtà nota e arcinota, in Italia, da anni». La presenza dei migranti incrementa la percezione del rischio di questi problemi. Problemi che si estendono sui decenni e che trovano i milioni di cittadini italiani i complici e i responsabili.
L’immigrazione è stata dichiarata dai movimenti demagogico-populisti come la regina di tutti i mali nell’ultimo decennio. Tutto per non parlare di un altro problema, quello più complesso, quello dell’integrazione. «L’immigrazione crea ricchezza poiché aumenta l’offerta di mani, braccia e testa a vantaggio dell’economia», scrive Mingardi, che pensa al valore aggiunto nel lungo termine, non agli svantaggi del breve. Ma è pur sempre nel breve termine che il politico populista ragiona e si adopera per racimolare i voti tra l’elettorato. Gli effetti positivi sulla crescita economica necessitano di tempo per manifestarsi. «Gli effetti negativi invece sono localizzati e si manifestano verosimilmente al momento dell’arrivo di un gruppo di migranti, per attutirsi nel medio termine». Le più belle parole sull’immigrazione come forza positiva le ha dette un politico (liberal)conservatore. Nei suoi ultimi attimi alla Casa Bianca, Ronald Reagan pronunciò il seguente discorso.
«Puoi andare a vivere in Francia, ma non puoi diventare un francese. Puoi andare a vivere in Germania o in Turchia o in Giappone, ma non puoi diventare un tedesco, un turco giapponese. Ma chiunque, da ogni angolo della Terra, può venire a vivere in America e diventare un americano. Noi guidiamo il mondo perché […] attiriamo […] il nostro popolo, la nostra forza, da ogni paese ogni angolo del mondo […] e rinnoviamo continuamente la nostra nazione. Mentre le altre nazioni si aggrappano ad un passato stantio, in America diamo vita ai sogni. Creiamo il futuro e il mondo ci segue nel domani. Grazie a ogni ondata di nuovi arrivi in questa terra di opportunità, siamo una nazione perennemente giovane. Se mai dovessimo chiudere le nostre porte a nuovi americani, la nostra leadership globale sarebbe rapidamente perduta» – altro che “Make America Great Again”. Quale politico conservatore farebbe un discorso del genere oggi?
Il liberalismo delinea i problemi, le sfide e le opportunità dell’immigrazione in maniera non populista. Parte dalla ricerca delle cause profonde dei fenomeni migratori, dall’analisi delle paure di chi si sente minacciato. Suggerisce apertura e libera circolazione, conosce il vantaggio del talento individuale. Sa attendere i frutti di una politica pacata e non urlata, pragmatica e umana. Liberale è chi crede che la diversità è un valore – non una minaccia. Che i diritti umani vengono al primo posto – non che siano un capriccio. Che l’apertura delle frontiere porta benefici nel lungo termine – e che i muri non servono a molto. Il liberale non cerca soluzioni facili o popolari a tematiche complesse. Affronta la tematica al netto dei paraocchi ideologici, osserva i fenomeni e le prospettive socioeconomiche nell’arco delle generazioni.
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su Immoderati)