Lo avevo contattato per un’intervista sulla storia del Giornale di Indro Montanelli e mi aveva risposto che lunedì 18 marzo scorso non poteva. «Ho un ciclo di chemioterapia», mi disse. Imbarazzatissimo, proposi un’altra data per il colloquio. Rimasi colpito dalla franchezza e dalla cortesia di Massimo Bertarelli, che avrei incontrato quattro giorni dopo in Via Negri e con il quale rimasi insieme per oltre un’ora e mezza. In seguito, ci saremmo sentiti un paio di volte per telefono. «Forse sono stato un po’ troppo loquace», spiegò il critico cinematografico, scomparso ieri a settantacinque anni. Bertarelli fu uno dei primi ragazzi ad entrare nell’allora Giornale Nuovo, di cui ha condiviso il percorso dai primi di giugno del 1974. Classe 1943, maturità liceale al Carducci di Milano, si era iscritto negli anni Sessanta a Giurisprudenza, «che non mi interessava per niente».
Figlio di un farmacista, aveva escluso farmacia, vista la pigrizia che lui stesso ammetteva, nonché la scarsa attitudine per matematica e chimica. Passata la soglia dei vent’anni, nel 1964 Massimo Bertarelli entrò al Guerin Sportivo, «settimanale di antica tradizione, che si occupava di calcio e ciclismo». Ci rimase, «più o meno seriamente», per una decina di anni. Il Guerin chiudeva d’estate e riapriva in settembre, quando riprendeva il campionato di calcio. «I primi anni ho lavorato in nero, senza prendere una Lira; poi nel 1968 ero pagato venticinquemila Lire a numero […]. L’impegno al giornale lo prendevo molto sportivamente, nel senso che alle volte andavo e alle volte no: comunque avevo capito che quella vita mi piaceva». Di studiare e spendere ore ed ore sui libri, Bertarelli non ne aveva proprio voglia: non si sarebbe mai laureato.
A metà degli anni Sessanta iniziò a collaborare con Oggi. «Facevo interviste e il direttore Vittorio Buttafava mi aveva segnalato che Indro Montanelli andava via dal Corriere e aveva in mente di fondare un giornale […]. Buttafava mi disse che se la cosa m’interessava poteva metterci una buona parola e garantire che non ero di sinistra». Dopo una sostituzione estiva al Corriere d’Informazione nel 1973 dove si occupò di cronaca, i successivi quindici mesi Massimo Bertarelli li ha dedicati al militare: «Avevo avuto la fortuna di stare a Milano all’ospedale militare, […] una specie di farsa». Nel 1973, l’uscita di Montanelli dal Corriere della Sera era nell’aria. L’idea di fondare un nuovo soggetto editoriale arrivò quando il principe del giornalismo italiano uscì da Via Solferino, in polemica con il direttore Piero Ottone.
Dopo le consultazioni con Gastone Geron e Pietro Radius, nella primavera del 1974 Bertarelli parlò con Gian Galeazzo Biazzi Vergani. Che «si occupava dei reclutamenti in Via Manzoni, a due passi dal teatro. Mi ricordo che quando mi telefonò gli chiesi: “Dove devo venire, al Corriere?” […]. Mi meravigliai che Biazzi non mi abbia mandato a quel paese prima del colloquio». E fu così che Bertarelli entrò al Giornale di Piazza Cavour, prima agli Interni e poi allo Sport. Un’istituzione nella redazione: dava colore all’atmosfera. Era spiritoso, come conferma l’ex collega Paolo Stefanato; «faceva desiderare di andare a lavorare, perché era un fuoco d’artificio di battute». Bertarelli stemperava l’austerità della redazione del Giornale. «Da caporedattore feci il diavolo a quattro con Montanelli e Biazzi per far diventare Bertarelli critico televisivo», ha detto Gabriele Villa. Il Nostro amava il cinema, a cui dedicò gli ultimi lustri della carriera giornalistica.
Suo l’ultimo trafiletto del Giornale dove, con il “consiglio” e lo “sconsiglio”, recensiva per i lettori i film serali del giorno. «All’inizio Massimo fu piuttosto reticente» continua Villa, «ma in realtà era la sua passione, oltre al calcio e alle scommesse». Massimo Bertarelli era il raccoglitore delle scommesse clandestine nella redazione del Giornale: e per le quali, una volta, finì anche in prigione. Fu Montanelli a farlo liberare. Ma per il giovane Massimo, l’anziano Indro ha fatto molto di più: gli avav offerto non solo un posto di lavoro, ma un luogo di libertà. Il Giornale era la famiglia di Massimo Bertarelli. Il Giornale era la sua vita. Ci andava anche alla domenica. «Ho lavorato di media cinquanta domeniche su cinquantadue; e a Natale venivo a vedere il portone chiuso, con il rimpianto di non poterci entrare […]. Ho amato il Giornale fino alla commozione».
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su L’Osservatore)