«Nei prossimi vent’anni i sistemi sociali falliranno ed esploderanno». Non usa mezzi termini Paolo Pamini nel suo intervento di apertura della conferenza “Liberalconservatorismo 2.0. Un’idea attuale e percorribile?”. Organizzata dalla LPU, Law and Politics in USI, l’evento si è tenuto all’Università della Svizzera Italiana martedì 26 marzo. E in sala – in un «covo di liberali» come ha detto Sergio Morisoli, autore di Liberalconservatorismo. Tra buona vita e vita buona e relatore della serata – anche Alfonso Tuor e Tito Tettamenti, moderati dal giornalista Roberto Antonini. Il quale spiega che «non è facile parlare di liberalismo, l’aggettivo liberale cambia a seconda del paese di riferimento. Liberale in Italia non è uguale a liberal in Gran Bretagna. Liberalismo e conservatorismo sembrerebbero due termini inconciliabili». Difatti «Friedrich von Hayek era liberale e addirittura scrisse il volume Perché non sono un conservatore».
Anche Morisoli vede in “liberalconservatorismo” un ossimoro, a tratti una contraddizione in termini. «In effetti sono due ideologie», spiega. «Ideologie e ideali sono stati buttati via troppo in fretta dopo il crollo di Berlino». Tuttavia, entrambi non muoiono, perché «nulla si crea e nulla si distrugge», in politica come in chimica, seguendo Antoine de Lavoisier. Continua Morisoli: «I liberali vogliono il progresso – l’uomo al centro – mentre i conservatori non vogliono cambiare». Le domande da porre per fare chiarezza sulla conciliabilità o meno dei due sono dunque: «Cosa è giusto e cosa si può cambiare? Cosa non è giusto e non si deve cambiare?». Nell’ottica di un “capitalismo corretto”, Morisoli spiega di essere «favorevole al populismo, al nazionalismo e al protezionismo». Si ricordi, tuttavia, che un populista-nazionalista di liberale non ha proprio nulla, dal momento che propone maggiore pressione fiscale, una ridistribuzione delle ricchezze e più Stato nella vita pubblica.
Decisamente liberale è invece Tito Tettamanti. Il finanziere parla di Wirstchaftliberal (per indicare il liberalismo economico) e di Wertkonservativ (per indicare la conservazione di alcuni valori fondamentali). Stabilire una differenza tra liberalismo e conservatorismo è difficile «in un’epoca in cui i partiti non ci sono più». Tettamanti è drastico nel raccontare l’Europa di oggi, dove «sono scomparsi i partiti democristiani – resiste sono la CDU di Angela Merkel – così come quelli comunisti». Ad essere in crisi sono anche i partiti socialdemocratici, eredi della Terza di Bill Clinton e Tony Blair. «Il dibattito si è spostato sul concetto di mondialismo (soluzione tecnocratica, che abolisce i confini) e sovranismo (che difende la gente che si sente esclusa dall’esercizio del potere)». Per Tettamanti «il conservatore non è un reazionario, perché sa distinguere i cambiamenti della società. Il liberale non deve affrontare il populismo con la puzza sotto il naso e mettersi sull’Aventino».
Diverso il discorso di Tuor. «In questo mondo confusionario l’Occidente ha perso i propri valori e non sa più dove andare. Cosa ha combinato l’Occidente con la globalizzazione?». Semplice: «un accordo con la sinistra della Terza via e il capitale economico-finanziario. Diritti da una parte e libertà di mercato dall’altra. L’Occidente non ha più identità. Ha solo un comune sentire di difesa». Cina e mondo arabo non hanno una mancanza di valori: «hanno la loro identità». L’Occidente «deve riprendere un’idea di civiltà e cominciare a pensare come mondo, non come singole nazioni. Questa Europa non funziona perché non è un soggetto geopolitico, non ha un obiettivo e neppure una politica estera. E per farla funzionare ci vuole la crisi». Non usa mezzi termini Tuor e riprende i toni quasi apocalittici di Pamini. Ci vogliono degli strappi profondi, perché, parafrasando Jean Monnet, «solo attraverso la crisi si riforma l’Europa».
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su L’Osservatore)