Evitiamo una guerra mondiale, perché sarebbe peggio della precedente: si conclude così il breve pamphlet di Edgar Morin Di guerra in guerra. Dal 1940 all’Ucraina invasa (Raffaello Cortina Editore 2023). Di conflitti l’autore ne ha visti tanti. Ultracentenario, è uno dei pensatori più importanti ed influenti del nostro tempo, ricorda Mario Ceruti nella prefazione. L’autore rievoca i terribili ricordi delle guerre che hanno segnato la sua vita. Rivive gli orrori dei conflitti e dalle conseguenze sulle popolazioni civili e le economie. Dalle città distrutte alle carcasse degli edifici, dai crimini di guerra alle torture, dalla distruzione di massa ai rifugiati. Edgar Morin ricorda il bombardamento della Luftwaffe che annientò Rotterdam nel maggio del 1940, dunque i bombardamenti di Londra. Poi quelli sulle città tedesche nel 1945 e le bombe atomiche sul Giappone. Soldato durante la guerra, Morin si recò anche a Pforzheim, totalmente distrutta.
L’autore non è tenero nei confronti degli alleati e dalle barbarie compiute in nome della civiltà contro la barbarie nazista. Distingue anche tra crimini di guerra occasionali e sistemici, che tuttavia non offrono una scusa morale di alcun genere. L’autore sottolinea quanto i campi di prigionia sovietici non avevano nulla da invidiare a quelli hitleriani. Tuttavia, si è creato il mito dell’URSS buona. Si dimentica che fu Mosca, in accordo con Berlino, a favore lo scoppio della guerra con il patto Molotov-von Ribbentrop. Il massacro di Katyn’ in Polonia – negato a lungo dai sovietici – rivela quanto durante la guerra la prima vittima era ed è la verità. L’autore affronta anche la questione dell’odio assoluto per il nemico e della sua totale criminalizzazione. Oggi «subiamo una propaganda di guerra che ci fa odiare la Russia, ammirare incondizionatamente tutto ciò che è ucraino». La radicalizzazione è un rischio notevole.
Al momento, «ci sono tre guerre in una: la continuazione della guerra interna fra potere ucraino e provincia separatista, la guerra russo-ucraina e una guerra politico-economica internazionalizzata antirussa dell’Occidente animata dagli Stati Uniti». L’odio per il nemico ha costituito un cemento di unità nazionale sia in Ucraina che in Russia. E questo non sembrerebbe essere contemplabile per “chi cerca la pace”. Purtroppo, a tratti Edgar Morin si abbandona al facile pacifismo e alla conseguente retorica di comodo. Accusa l’Europa perché non ha fatto niente per “promuovere la pace”. Apparentemente in contraddizione con i crimini denunciati all’inizio del pamphlet, Morin spiega che è fuori misura hitlerizzare o stalinizzare Vladimir Putin – giacché l’Occidente negoziò con Mao Zedong e tuttora con Xi Jinping. Queste note ricordano un po’ il celebre «E allora l’Iraq?», quel “whataboutism”, che non c’entra nulla con le vicende in esame.
Morin indica una soluzione per le condizioni di pace. Si dovrebbe ottenere il riconoscimento dell’indipendenza dell’Ucraina con uno stato di neutralità e l’integrazione nell’UE. Ma in contropartita il Donbass dovrebbe andare alla Russia. Edgar Morin spiega che ci sarebbe il rischio concreto, dopo la guerra, di discriminazioni da parte di Kiev. Quanto alla Crimea, la situazione ben più complessa. La penisola non sembra recuperabile da parte di Kiev anche perché la maggioranza è ora russa per l’ottanta percento. Il resto sono tatari, che erano stati esiliati in Siberia da Stalin, mentre il quattro per cento è ucraino. Morin sembra non vedere però un fatto oggettivo: un dittatore non è mai saziato solo con una parte di territorio. E l’appeasement nei suoi confronti rispetto ad attitudini ora da bullo ora da criminale non fanno che alzare la temperatura del conflitto o di un futuro conflitto.
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su La Voce di New York)