Riflettevano tre necessità i quattro viaggi di Franz Kafka in Italia tra il 1909 e il 1920: curare la tubercolosi, visitare per piacere il paese ed alimentare curiosità ed immaginazione. La salute precaria che lo accompagnò per tutta la sua breve vita – morì poco più che quarantenne – lo aveva obbligato ad un estenuante dentro e fuori dai sanatori dell’Impero asburgico. Sembra che Kafka avesse una predilezione per l’Italia settentrionale. Il primo impatto con il Belpaese fu a Riva del Garda nel primo autunno del 1909. In questa occasione era accompagnato da Max Brod e suo fratello. La vacanza sul lago era dovuta a motivi di salute. Il lavoro in ufficio, che Kafka non amava, era sfibrante. Permesso accordato: otto giorni di riposo. Per curare la salute malconcia, alloggiò a Villa Bellevue, dove con i Brod passava le giornate tra bagni e letture.
Nel diario che portò con sé in Italia, Kafka annotò a proposito di una piccola disavventura con un vetturino locale per questioni di tariffe – le truffe nei confronti dei turisti c’erano anche allora. Questo primo viaggio nella penisola è ricordato dai suoi biografi principalmente per la visita a Montichiari, nei pressi di Brescia, in occasione del circuito aereo internazionale del 9 settembre 1909. Tra gli ospiti c’erano anche Giacomo Puccini e Gabriele D’Annunzio – che Kafka descrisse come “piccolo e debole”. “Die Aeroplane in Brescia” era il titolo del reportage che scrisse per la “Morgen Ausgabe” del Boemia, pubblicato il 29 settembre 1909. Kafka si trovò molto bene a Riva. Ai primi del Novecento, nel Nord-Est italiano, c’era ancora un’atmosfera profondamente asburgica – «Riva era austriaca, Brescia italiana», ricordò Brod nei diari. Faceva riferimento al fatto che parte del Nord-Est era ancora sotto la monarchia danubiana.
Nella tarda estate del 1911 Kafka tornò in Italia per turismo. Con lui, ancora, il buon Brod. Il viaggio avveniva nell’ambito di una trasferta che lo aveva visto passare da Zurigo a Milano. Sul Ceresio, Kafka passeggiò fino a Gandria; poi andò a Porlezza, dunque ad Osteno. Anche a Cadenabbia e a Menaggio, sul Lario. Durante il viaggio, i due amici tennero un diario. Vicino a Tremezzo, a Villa Carlotta, rimasero colpiti dalle opere di Antonio Canova. Il terzo viaggio di Kafka in Italia avvenne nel 1913. Lo scrittore visitò Venezia, Verona, Desenzano e di nuovo Riva – «Il soggiorno a Riva è stato molto importante per me», annotò. Si recò anche a Trieste, sede delle Assicurazioni Generali. Kafka aveva lavorato dal novembre 1907 nella filiale di Praga e imparò anche un po’ di italiano, proprio nella speranza di lavorare presso la città del Golfo.
Un periodo particolarmente infelice. Doveva lavorare dieci ore al giorno in istituto e questo non gli lasciava il tempo per scrivere. Dimessosi nel luglio 1908, due settimane dopo trovò lavoro presso l’Istituto di assicurazioni contro gli infortuni del Regno di Boemia, dove lavorò fino alla pensione anticipata. Abbandonò lo studio dell’italiano. In sintonia con il multiculturalismo austroungarico, Kafka era un ebreo boemo che parlava tedesco e ceco. Il tentativo di apprendere l’italiano, cosa non evidente, rifletteva l’innata curiosità dello scrittore. Già nel viaggio di due anni prima, a Menaggio, scriveva che non poteva reggere un confronto linguistico rispetto con i madrelingua. Un commento tipicamente kafkiano, fondato sull’autocommiserazione e l’insicurezza. Kafka non venne arruolato per la Grande Guerra. Le visite al sanatorio testimoniavano il fatto che non aveva il fisico adatto. Tra il 12 e il 13 agosto 1917 il primo sbocco di sangue.
La tubercolosi fu all’origine dell’ultimo viaggio di Kafka in Italia. In convalescenza, nell’aprile 1920, arrivò Merano. A principio, come scrisse all’amica Minze Eisner, voleva andare al sanatorio Kainzenbad, sulle Alpi bavaresi. Nonostante i prezzi alti, Kafka stette in Alto Adige per tre mesi. Inizialmente iniziò le cure al Gran Hotel Emma di Merano; poi nel comune di Maia Bassa. L’aria fresca e l’Art nouveau di Merano non ebbero però un grande effetto su Kafka. Tornato a Praga, alla Eisner confidò che Merano non gli aveva giovato. Nel sanatorio scriveva molte lettere, tra cui quelle a Milena Jesenská, sua amica, amante e traduttrice. Il libro Kafka a Merano, a cura di Patrick Rina e Veronika Rieder, ripercorre il viaggio dello scrittore in un’epoca di transizione per l’Italia. L’Impero austroungarico era stato smembrato e la Belle époque era finita a Sarajevo, con il risultato di dieci milioni di morti.
La Cecoslovacchia ottenne l’indipendenza nel 1918 e il Tirolo venne integrato nel Regno d’Italia. Del paese, Kafka ha conservato una buona opinione nelle prime trasferte. Ma tutto cambiò con la tubercolosi, che offuscò anche la sua curiosità per i viaggi. È un peccato che Kafka non abbia visitato il resto dell’Italia. Cosa avrebbe pensato o scritto di Firenze o di Roma? Di certo, ne avrebbe condannato il rumore. Non sopportava il chiasso. Negli anni, i viaggi di Kafka in Italia hanno contribuito ad alimentare il mito di Kafka anche nel Belpaese. Patrocinato dal Comune di Udine, il Premio Letterario Nazionale Franz Kafka Italia è elargito agli autori di testi letterari in linea con la tradizione umanistica italiana. “Lettera al padre” (1983) di Massimo Masini è uno sceneggiato basato sul famoso scritto al genitore. “Lo Strano Caso del Signor Kappa” (2002) di Fabrizio Lori è ispirato al romanzo Il processo.
E ancora, “Amerika” (2004) di Maurizio Scaparro ripercorre le avventure di Karl Rossmann, il protagonista di Amerika. “Hans” (2006) è un thriller diretto da Louis Nero, ispirato al racconto La metamorfosi. Kafka in Italia vive anche nella letteratura. Dino Buzzati, che ha sempre rigettato questa etichetta, è considerato il Kafka italiano. Pedro Garcez Ghirard ha scritto un essay facendo un parallelo tra lui e Alessandro Manzoni. Entrambi ebbero complessi rapporti con il padre, una dimensione religiosa che rivestì un’importanza cruciale nella loro vita, nonché riflessioni sul senso dell’esistenza, sulle ingiustizie sociali, sulle denunce dei potenti. Kafka è anzitutto un’atmosfera. Anche in Italia, dove la memoria dello scrittore boemo è rimasta nell’immaginario collettivo. Oggi a Riva del Garda una strada porta il suo nome. Un chiaro omaggio al viaggio nell’asburgico Settentrione italiano.
Riflettevano tre necessità i quattro viaggi di Franz Kafka in Italia tra il 1909 e il 1920: curare la tubercolosi, visitare per piacere il paese ed alimentare curiosità ed immaginazione. La salute precaria che lo accompagnò per tutta la sua breve vita – morì poco più che quarantenne – lo aveva obbligato ad un estenuante dentro e fuori dai sanatori dell’Impero asburgico. Sembra che Kafka avesse una predilezione per l’Italia settentrionale. Il primo impatto con il Belpaese fu a Riva del Garda nel primo autunno del 1909. In questa occasione, Kafka era accompagnato da Max Brod e suo fratello. La vacanza sul lago era dovuta a motivi di salute. Il lavoro in ufficio, che Kafka non amava, era sfibrante. Permesso accordato: otto giorni di riposo. Per curare la salute già malconcia, alloggiò al Villa Bellevue, dove con i Brod passava le giornate tra bagni e letture.
Nel diario che portò con sé in Italia, Kafka annotò anche una piccola disavventura con un vetturino locale per questioni di tariffe – le truffe nei confronti dei turisti c’erano anche allora. Questo primo viaggio nella penisola è ricordato dai suoi biografi principalmente per la visita a Montichiari, nei pressi di Brescia, in occasione del circuito aereo internazionale del 9 settembre 1909. Tra gli ospiti c’erano anche Giacomo Puccini e Gabriele D’Annunzio – che Kafka descrisse come “piccolo e debole”. “Die Aeroplane in Brescia” divenne poi il titolo del reportage che scrisse per la “Morgen Ausgabe” (edizione mattutina) del Boemia, pubblicato il 29 settembre 1909. Per sua stessa ammissione, Kafka si trovò molto bene a Riva. Ai primi del Novecento, nell’asburgico Settentrione italiano, c’era ancora un’atmosfera profondamente austroungarica – «Riva era austriaca, Brescia italiana», ricordò Brod nei diari. Faceva riferimento al fatto che parte del Nord-Est era ancora sotto la monarchia danubiana.
Nella tarda estate del 1911 Kafka tornò in Italia, ma questa volta per turismo. Con lui, ancora, Max Brod. Il viaggio era nell’ambito di una trasferta che lo aveva visto passare da Zurigo a Milano. Sul Ceresio, Kafka passeggiò fino a Gandria; poi andò a Porlezza, dunque ad Osteno. Anche a Cadenabbia e a Menaggio, sul Lago Lario. Durante il viaggio, i due amici tennero un diario. Vicino a Tremezzo, a Villa Carlotta, rimasero colpiti dalle opere di Antonio Canova. Il terzo viaggio di Kafka in Italia avvenne nel 1913. Visitò Venezia, Verona, Desenzano e di nuovo Riva – «Il soggiorno a Riva è stato molto importante per me», annotò. Si recò anche a Trieste, sede delle Assicurazioni Generali. Kafka aveva lavorato dal novembre 1907 nella filiale di Praga e imparò anche un po’ di italiano, proprio nella speranza di lavorare presso la città del Golfo. Questo periodo fu particolarmente infelice.
Doveva lavorare dieci ore al giorno in istituto e questo non gli lasciava il tempo per scrivere. Dimessosi nel luglio 1908, due settimane dopo trovò lavoro presso l’Istituto di assicurazioni contro gli infortuni del Regno di Boemia, dove lavorò fino alla pensione anticipata. Abbandonò quindi lo studio dell’italiano. In piena sintonia con il multiculturalismo austroungarico, Kafka era un ebreo boemo che parlava tedesco e ceco. Il tentativo di apprendere l’italiano, cosa non evidente per un boemo già bilingue, rifletteva l’innata curiosità dello scrittore. Già nel viaggio di due anni prima, a Menaggio, scriveva che non poteva reggere un confronto linguistico rispetto ai madrelingua. Un commento tipicamente kafkiano, fondato sull’autocommiserazione e l’insicurezza. Kafka non venne arruolato nella Grande Guerra. Le consuete visite al sanatorio testimoniavano il fatto che non aveva il fisico adatto. Tra il 12 e il 13 agosto 1917 il primo sbocco di sangue.
La tubercolosi fu all’origine dell’ultimo viaggio di Kafka in Italia. In convalescenza, nell’aprile 1920, arrivò Merano. A principio, come scrisse all’amica Minze Eisner, voleva andare al sanatorio Kainzenbad, sulle Alpi bavaresi. Nonostante i prezzi alti, Kafka stette nell’Alto Adige per tre mesi. Inizialmente iniziò le cure al Gran Hotel Emma di Merano; poi nel comune di Maia Bassa. L’aria fresca e l’art nouveau di Merano non ebbero però un grande effetto su Kafka. Tornato a Praga, alla Eisner confidò che Merano non gli aveva giovato. Nel sanatorio scriveva molte lettere, tra cui quelle a Milena Jesenská, sua amica, amante e traduttrice. Il libro Kafka a Merano, a cura di Patrick Rina e Veronika Rieder, ripercorre il viaggio dello scrittore in un’epoca di transizione per l’Italia. L’Impero austroungarico era stato smembrato e la Belle époque era finita a Sarajevo, con il risultato di dieci milioni di morti.
La Cecoslovacchia ottenne l’indipendenza nel 1918 e il Tirolo venne integrato nel Regno d’Italia. Del paese, Kafka ha conservato una buona opinione nelle prime trasferte. Ma tutto cambiò con la tubercolosi, che offuscò anche la sua curiosità per i viaggi. È un peccato che Kafka non abbia visitato il resto dell’Italia. Cosa avrebbe pensato o scritto di Firenze o di Roma? Di certo, ne avrebbe condannato il rumore. Non sopportava il chiasso. Negli anni, i viaggi di Kafka in Italia hanno contribuito ad alimentare anche nel Belpaese il mito di Kafka. Patrocinato dal Comune di Udine, il Premio Letterario Nazionale Franz Kafka Italia è elargito agli autori di testi letterari in linea con la tradizione umanistica italiana. “Lettera al padre” (1983) di Massimo Masini è uno sceneggiato basato sul famoso scritto al genitore. “Lo Strano Caso del Signor Kappa” (2002) di Fabrizio Lori è ispirato al romanzo Il processo.
E ancora, “Amerika” (2004) di Maurizio Scaparro ripercorre le avventure di Karl Rossmann, il protagonista di Amerika. “Hans” (2006) è un thriller diretto da Louis Nero, ispirato al racconto La metamorfosi. Kafka in Italia vive anche nella letteratura. Dino Buzzati, che ha sempre rigettato questa etichetta, è considerato il Kafka italiano. Pedro Garcez Ghirard ha scritto un essay facendo un parallelo tra lui e Alessandro Manzoni. Entrambi ebbero complessi rapporti con il padre, una dimensione religiosa che rivestì un’importanza cruciale nella loro vita, nonché riflessioni sul senso dell’esistenza, sulle ingiustizie sociali, sulle denunce dei potenti. Kafka è anzitutto un’atmosfera. Anche in Italia, dove la memoria dello scrittore boemo è rimasta nell’immaginario collettivo. Oggi a Riva del Garda una strada porta il suo nome. Un chiaro omaggio al viaggio nell’asburgico Settentrione italiano.
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su Fogli romani)