La politica dell’appeasement nei confronti della Germania da parte del Partito Conservatore britannico non nacque con Neville Chamberlain. Era altresì la politica ufficiale dei Tories sin dai tempi di Robert A. Salisbury – quando l’ordine liberale in Europa stava iniziando a scricchiolare. I conservatori sapevano che per mantenere un vasto impero come quello britannico occorreva fare concessioni agli altri Stati. Dopo la Grande Guerra, l’establishment finanziario di Londra e Giorgio V volevano preservare buone relazioni con la Germania. Quando poi Giorgio VI arrivò al potere, l’appeasement del governo britannico si trasformò in totale compiacenza. Molti nel panorama politico dell’isola salutarono con entusiasmo l’accordo di Monaco del 30 settembre 1938. Tre le figure responsabili della degenerazione della politica di accondiscendenza nei confronti del Reich: Stanley Baldwin, Chamberlain e Edward Wood, conte di Halifax.
La borghesia britannica riteneva i nazisti una garanzia contro la peste del Comunismo in Europa continentale. Ma Baldwin non era interessato alla politica estera, bensì alle beghe interne e ai giochi di potere nel Partito Conservatore. Lo stesso Winston Churchill lo definì il miglior manager del partito che i Tories avessero mai avuto. Determinato ad evitare il ritorno di Lloyd George, Baldwin venne sostituito a Downing Street da Chamberlain nel 1937. Primo Ministro a sessantotto anni – fu scelto anche per il suo ottimismo ed anticomunismo – Chamberlain aveva speso tutta la sua carriera politica nell’ombra del padre (potente industriale) e del fratello – già ministro degli Esteri. Durante la crisi di Monaco scrisse alla sorella che l’unica soluzione per vincere la guerra era convincere i tedeschi che questi non potevano vincerla.
Sulla crisi della Sudetenland il suo governo era diviso, ma dopo Monaco si convinse di aver firmato «la pace dei nostri giorni», come disse di ritorno da Berlino sventolando l’accordo di mutilazione della Cecoslovacchia. Era sinceramente convito che si potesse trattare con Berlino; d’altra parte, come disse, sarebbe stato “orribile” che gli inglesi scavassero le trincee per una quisquilia in terre con persone che di cui non sapevano nulla. Halifax, invece, non divenne primo ministro dopo Chamberlain – a cui succedette Churchill nella “darkest hour” del maggio 1940, quando i nazisti ottennero dominio totale sull’Europa continentale – proprio per la sua postura di appeaser. Da ministro degli Esteri aveva persino fatto bloccare diverse trasmissioni della BBC critiche nei confronti dell’appeasement.
Oggi come nel 1938, la politica di appeasement è scellerata e dannosa. Mostra e attesta la paura dell’avversario e al posto di obbligarlo a ritornare sui suoi passi, lo invita a procedere sulla pelle delle vittime e degli Stati più deboli. L’appeasement fa il gioco dei tiranni e degli invasori; ed è anche un’arresa nei confronti di una potenza avversaria che non si può più contenere. L’appeasement non conduce mai alla pace: il dittatore non è mai sazio di “Lebensraum”. E ogni vuoto politico si riempie se non c’è una leadership salda che difende l’ordine liberale. Per preservare la pace, il commercio, la libertà, i confini, occorre scrivere assieme le regole del gioco. I disarmi non possono essere unilaterali, altrimenti si chiamano rese; e le cessioni territoriali altrui come soluzione tampone denotano una drammatica miopia politica.
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su Corriere del Ticino)