Il 28 luglio del 1902 nasceva a Vienna Karl Popper. Protagonista della filosofia e dell’epistemologia novecentesca, è stato tra le voci più autorevoli del liberalismo. Difensore della democrazia liberale e della società aperta, avversario di ogni totalitarismo, di destra e sinistra, Karl Popper era di origini ebraiche. Ha studiato presso l’università della capitale austriaca e in gioventù divenne membro del Partito Socialdemocratico Austriaco. Rimase però deluso dal materialismo storico marxista, preferendo il liberalismo sociale, che contribuì a teorizzare per tutta la vita. Dottorato in filosofia nel 1928, con l’avvento del nazismo in Austria dieci anni dopo emigrò in Nuova Zelanda. Lecturer a Christchurch, dal 1949 insegnò alla LSE. Era grande amico di un’altra importante figura del liberalismo, l’economista – austriaco come lui – Friedrich von Hayek. I due condividevano un’analisi che equiparava Nazismo e Fascismo con Socialismo e Comunismo nell’ottica del collettivismo. Tuttavia, Popper si spinse oltre economia e politica.
Contribuì anche al campo dell’epistemologia e del verificazionismo. Coniò espressioni quali razionalismo critico e lavorò attorno a questioni come l’intuito e le previsioni, il problema dell’errore e la logica, la verità e la certezza, la falsificabilità e la metafisica. In La società aperta ai suoi nemici contestò storicismo e determinismo, autoritarismo e totalitarismo. Auspicava una società libera e aperta, plurale ed eterogenea. Dove la persona conta come essere umano e dove tutti sono diversi, ma uguali di fronte alla legge. Dove gli individui concorrono alla risoluzione dei problemi e dove la collaborazione tra essi è spontanea. Una società basata sulla non-coercizione arbitraria e sulla condanna degli intolleranti violenti. Per Popper non esiste la verità: questa è provvisoria fino a quando non è confutata da nuovi elementi – da qui la popperiana “teoria della falsificazione”.
Quanto al rapporto Popper-economia, come ha ricordato Mario Vargas Llosa (Il richiamo della tribù), «la libertà economica auspicata da Popper doveva essere accompagnata da un’educazione pubblica di alto livello e diverse iniziative di ordine sociale, come la creazione di istituti “per la protezione degli economicamente deboli nei confronti degli economicamente forti” – le pensioni, le assicurazioni […], l’istruzione gratuita nelle scuole pubbliche, la proibizione del lavoro infantile – e da una vita culturale intensa […], al fine di creare pari opportunità tali da contrastare, in ogni generazione, i dogmi religiosi e lo spirito tribale». Il che vuol dire che «l’unico modo di progredire nel campo del sapere è quello di sbagliare e di correggerci, dobbiamo tutti riconoscere che le nostre verità potrebbero non essere tali, e quelli che riteniamo errori dei nostri avversari potrebbero essere verità» (ibid.). Il filosofo condannava sistemi e ideologie fondate sulla certezza e il piano.
Rifiutava il nazionalismo, definito come un “ritorno alla tribù”. Un sistema collettivista è basato sul credere di disporre di tutte le informazioni e di affermare una “verità”, elevando il gruppo. Il collettivismo reprime le voci non conformi ed elegge l’intolleranza a sistema di gestione della cosa pubblica. Sulla tolleranza, Popper ha scritto importanti riflessioni e le collega al costruttivismo hayekiano. Cioè la “teoria cospiratoria della società”: se dietro ad ogni istituzione c’è sempre qualcuno che lo ha progettato (costruttivismo) allora dietro ad ogni evento negativo ci sarà sempre qualcuno o qualcosa che lo ha architettato e ha cospirato. «La tolleranza illimitata deve portare alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti […], allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi […]. Dovremmo quindi proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti» (op. cit.).
Gli intolleranti non possono essere messi al bando, secondo Popper, a meno che non usino la violenza per affermare le proprie idee. La tolleranza è essenziale nelle società libere e aperte. La tolleranza è il cardine della pace nella società aperta. Senza tolleranza non può esserci libertà. In un’epoca in cui si è tornati a sostenere e a discutere di un pacifismo (spesso opportunista, irragionevole, utopico, mascherato da un buonismo che in realtà è appeasement al tiranno), sono attuali le riflessioni di Karl Popper. Che in una conferenza del 1993 spiegò che «la pace è necessaria. Per essa bisognerà ancora a lungo lottare e difenderla. Dobbiamo rassegnarci a questa lotta e a questa difesa». Promuovere la tolleranza vuol dire difendere la società aperta. Di converso, l’intolleranza conduce al collettivismo e alla tirannia. Alla “via della schiavitù”, per dirla con Hayek.
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su Corriere dell’Italianità)