Sono passati quarantuno anni dalla morte di Vittorio Bachelet, assassinato il 12 febbraio del 1980 dalle Brigate Rosse. Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, il CSM, stava uscendo dall’Università La Sapienza di Roma quando due brigatisti gli tesero un attacco. Sette colpi al professore, già presidente dell’Azione Cattolica Italiana. Cinquantaquattro anni, due figli, aveva appena concluso la lezione all’ateneo capitolino. Al suo fianco la futura deputata, e all’epoca sua assistente, Rosy Bindi. Dopo quattro colpi del primo assalitore, un giovane Gian Antonio Stella ricordò così i fatti il giorno dopo sul Corriere della Sera. «Interviene il secondo terrorista: si precipita verso Bachelet che sta crollando a terra. Preme per quattro volte il grilletto, il professore si affloscia su un fianco, perde gli occhiali. L’assassino si china su di lui e gli spara il colpo di grazia alla nuca».
Il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, condannò l’attentato come un attacco allo Stato. Gli anni Ottanta non erano ancora gli anni da bere. Bisognava ancora saldare i conti con un decennio insanguinato per assistere allo spegnersi della violenza con sistema di fare politica da parte di alcuni gruppuscoli di estremisti, terroristi e assassini. «Bachelet rantola accanto alla vetrata», ricordò Giampaolo Pansa di Repubblica. «Attorno a lui si agitano decine di studenti che renderanno poi testimonianze contraddittorie. Qualcuno sostiene: “Il ragazzo terrorista camminava alle spalle di Bachelet e aveva addirittura seguito la sua lezione”. Un altro dirà di aver sentito gridare: “Ci sono delle bombe, scappate, scappate!”. Nel cortile di Scienze Politiche c’è il caos. Adesso molti fuggono davvero, gridando».
Poco dopo, gli squilli alla redazione di Repubblica e l’Avanti!: i terroristi confermarono al centralino l’esecuzione del professore. Il suo nome era stato trovato nelle carte dei brigatisti che avevano ucciso Aldo Moro, nel 1978. Bachelet era un possibile target dei terroristi rossi. I quali, sarebbero poi stati individuati nel maggio dello stesso anno: Bruno Seghetti e Anna Laura Braghetti erano difatti coinvolti nell’omicidio del Presidente della DC. Bachelet era stato colpito perché era stato in grado di esprimere una autonomia giudiziaria di peso in Italia. L’omicidio fu efferato: colpì sia la politica, che la magistratura, che la scuola. Erano queste le istituzioni dove Bachelet interagiva ed esponeva la sua indipendenza di pensiero e il suo ruolo di alto e leale servitore dello Stato. Bachelet ebbe diverse intuizioni, tra cui la necessità di un maggiore coordinamento tra lo Stato centrale e le regioni.
Con i ragazzi delle associazioni cattoliche passava molto tempo, vista la sua attività di libera docenza. Anni dopo il suo ragazzo, suo figlio, Giovanni Bachelet, avrebbe ricordato gli eventi attorno alla morte del genitore più volte. Il giorno del funerale del padre disse a nome della famiglia: «Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà, perché senza togliere nulla alla giustizia, che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri». E ancora, anni dopo, «senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri».
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su L’Osservatore)