Comunismo e Nazismo? Molte similitudini e una differenza

Nel suo The Road to Serfdom del 1944, Friedrich von Hayek è stato uno dei primi (coraggiosi) studiosi a notare le affinità politiche – in termini di disegno sociale, nonché di politica economica – tra i regimi socialisti (in particolare il Comunismo) e quelli fascisti (in particolare il Nazismo). Comunismo e Nazismo hanno diversi aspetti comuni, il più delle volte volontariamente trascurati in diverse autorevoli ricostruzioni storiche o negate ancora oggi.

All’atto pratico, entrambe le ideologie erano antiliberali, anti-pluraliste, anticapitaliste, anti-élite. Erano basate sullo statalismo permeante, sull’esaltazione degli apparati burocratici, sulla distruzione dell’identità individuale a favore di una conforme al partito, sull’annichilimento del singolo. Entrambe le ideologie volevano creare un cittadino nuovo, una nuova “razza” forgiata a partire da una teoria di subordinazione nei confronti dello Stato. Entrambe le ideologie, tradotte in politica corrente, proponevano simili misure sociali ed economiche. Ossia, pensioni alte per gli anziani, più possibilità di educare i poveri, porre fine al lavoro minorile, migliorare delle cure maternali … Tutto bellissimo, certo, ma il prezzo in termini di vite umane si contò nell’ordine delle sette-otto cifre. E comunque gli obiettivi non vennero centrati, se non in minima parte.

All’atto pratico, entrambe le ideologie erano basate sull’(illegale) espansione territoriale per ampliare il consenso domestico dei rispettivi apparati partitici e leader. I nazisti iniziarono con l’invasione della Rheinland il 7 marzo 1936, i sovietici ingoiarono le repubbliche baltiche qualche anno dopo. Entrambe le ideologie hanno perseguitato milioni di individui “scomodi” e sgraditi al regime. Da una parte zingari, testimoni di Geova, omosessuali (“identità sociali”, per i nazisti); dall’altra ceceni, turchi, ucraini, polacchi (“identità nazionali”, per i comunisti). Tutti colpevoli di non essere conformi all’artificiale uniformità totalitaria imposta dal partito. E poi gli ebrei, vittime di spicco di entrambe le dittature; discriminati in società dove il grado di Antisemitismo raggiunse vette tremende, fino ai noti esiti.

All’atto pratico, entrambe le ideologie intendevano riavviare l’economia; e ci riuscirono in un primo momento. Secondo Emil Ludwig (Ritratto di tre dittatori), il boom economico della Germania hitleriana era dovuto al fatto che milioni di disoccupati tedeschi iniziarono a costruire cannoni, carri armati, aerei, navi da guerra e fortificazioni. L’entusiasmo che si ristabilì dopo i duri anni della depressione postbellica aiutò a creare il mito tedesco, avvolto nell’onore e nel prestigio della futura locomotiva d’Europa. In misura ridotta, un processo analogo avvenne anche nell’URSS bolscevica con la NEP prima (Nuova Politica Economica, 1921-1929) e i piani quinquennali poi.

All’atto pratico, entrambe le ideologie adottarono posizioni simili circa il mondo del lavoro. Come ha scritto Sigmund Ginzberg (Sindrome 1933), la Germania nazista si giocò «la carta dell’apertura al mondo del lavoro […] e ai sindacati. Ripristinò il Primo Maggio, la Festa dei Lavoratori, che i governi precedenti avevano proibito per ragioni di sicurezza, aggiungendo solo un aggettivo: lavoratori sì, ma “tedeschi”». Il NSDAP si travestì da garante dei lavoratori, oppressi dai cattivi capitalisti e magnati internazionali. In particolare, di sé il Führer diceva di essere uno di loro, figlio di povere persone. Da eredi della tradizione statalista, i nazisti furono generosi circa i sussidi ai disoccupati. Enormi somme vennero elargite alle famiglie, cosa che faceva del NSDAP il partito sia dell’industriale della IG Farben che dell’ultimo operaio della Krupp. Stessi processi li adottava il PCUS, solo che Mosca era molto più povera di Berlino.

Almeno in una fase iniziale, i nazisti non nascondevano le loro radici socialiste. Predicavano contro il Comunismo, ma pur sempre socialista era il partito dei lavoratori tedeschi. L’aggettivo “socialista” voleva risultare appealing per la classe lavoratrice proletaria germanica che temeva l’avvento del Comunismo così come si era presentato in Russia nel 1917. L’accento sul “Socialismo della nazione”, che avrebbe fatto “grande” la Germania umiliata a Versailles, prevedeva in particolare una grande attenzione verso il mondo agricolo. Il punto diciassette del programma dei nazisti del 1920 parlava a proposito di un’“espropriazione della terra per fini comuni senza compensazione”. Detto in altri termini, un esproprio, parola cara ai comunisti sovietici. Naturalmente, la prima terra ad essere confiscata fu quella ebraica.

Come accadde in URSS, il terreno ideologico per piantare i semi del Socialismo dirigista era già stato arato per bene anni prima della salita al potere dei nazisti. Era dalla fine degli anni Venti – specialmente nella Germania del Nord dove il Socialismo di destra (Nazional-Socialismo) attecchì con successo – che abilissimi oratori e menzogneri come Joseph Goebbels e Gregor Strasser propagandavano il verbo hitleriano, senza che nessuno o quasi si accorgesse delle similitudini tra il programma dei nazisti e quello delle sinistre dell’epoca. Strasser, gerarca della prima ora, apparteneva all’ala sinistra del NSDAP; la sua era un’agenda profondamente anticapitalista. Dopo la rottura con il futuro Ministro della Propaganda, venne ucciso nell’ambito dell’epurazione della notte dei lunghi coltelli. Forse, troppo di sinistra, in un partito di sinistra che faceva finta di non esserlo.

Un altro personaggio di sinistra che aiutò il NSDAP ad orientarsi verso politiche socialiste fu Robert Ley; aviatore nel 1917, riportò danni al cervello dopo la Prima Guerra Mondiale. Uomo corrottissimo, bevitore, poi suicida a Norimberga nell’ottobre 1945, qualche mese dopo la presa del potere dei nazisti, il 5 maggio 1933 si espresse come segue: «Lavoratori! Per noi nazionalsocialisti le vostre istituzioni sono sacre. Io stesso sono figlio di un povero contadino e capisco la miseria … Mi è noto lo sfruttamento che voi subite ad opera del capitalismo anonimo. Lavoratori! Vi giuro che non solo conserveremo ciò che già esiste, ma che svilupperemo ulteriormente tutto quanto riguarda la protezione e i diritti degli operai» (citato da Giuseppe Mayda, Norimberga, processo al Terzo Reich). Non proprio la quintessenza del conservatorismo.

Ancora dubbi sulle similitudini tra ideologie, attuazioni, parole d’ordine, politiche sociali ed economiche tra Comunismo e Nazismo? Madeleine Albright (Fascism. A Warning) ha spiegato che i nazisti classificavano le persone in base alla loro nazionalità ed etnica, mente i comunisti usavano la classe come discriminante. Il disegno totalitario di entrambi era pericoloso: ed era lo stesso. Albright spiega che i nazisti sognavano una nazione razzialmente pura, i comunisti invece bandirono (teoricamente) il concetto di nazione in sé, per abbracciare quella di grande partito-Stato. In ogni caso, un progetto totalitario che annientava l’essere umano e lo piegava al servizio dell’ideologia e dello Stato illiberale, dirigista e uniformatore. Una schiavitù intollerabile, ma ancor più intollerabile era ed è il fatto che una delle due ideologie sembra tutt’ora averla fatta franca nell’immaginario collettivo.

Se è vero che le similitudini tra le due articolazioni politiche sono evidenti, c’è d’altra parte una grande differenza tra le due: quell’inspiegabile doppiopesismo che viene adottato nella gran parte delle analisi storiche dei due sistemi totalitari. Almeno in Europa occidentale, in particolare, l’universo comunista è tutt’oggi abbastanza ignorato alla luce dei crimini compiuti dai regimi che hanno adottato la dottrina marxista. D’altra parte, il Nazismo, giustamente, gode di una condanna unanime e corale, ma ampi settori socioculturali stentano a equiparare Comunismo e Nazismo. La scusa è che “il Comunismo è diverso” e il “vero” Comunismo non è mai stato applicato. Più che una strategica e volgare manomissione della Storia, un insulto ai milioni di esseri umani che sotto il Comunismo, da Est a Ovest, sono periti miseramente.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su Immoderati)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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