Odio e pace, barbarie e rivoluzione di Rosa Luxemburg

Sono passati centocinquant’anni dalla nascita di Rosa Luxemburg, protagonista politica tra l’Ottocento e il Novecento tedesco. Studiosa e letterata, forse la più importante teorica e allieva del Marxismo. Nata in Polonia da genitori ashkenaziti, si spostò in Svizzera, a Zurigo, dunque in Germania, al tempo il laboratorio del Socialismo in Europa. Per convinzione, Luxemburg aderì al Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD), ma non mancò mai di criticarne le proposte politiche. Più volte si scontrò con la classe dirigente del partito. Progressivamente, si convinse che il grande nemico delle classi operaie fosse il capitalismo che le stipendiava. Critica della Seconda Internazionale di cui aveva fatto parte per anni, salutò con piacere la rivoluzione bolscevica del 1917. Dei comunisti russi esaltò il coraggio nell’insurrezione anti-zarista. Sognò intimamente che una rivoluzione simile potesse poi essere importata nella culla della socialdemocrazia, cioè la Germania.

La storia della sinistra europea è una storia di divisioni su dottrina e potere. E lo era anche all’epoca di Luxemburg, che prima di combattere le fazioni politicamente avverse, criticava quelle interne dei socialdemocratici. Queste, non perfettamente allineate alla sua visione integralista del Marxismo. Da una parte c’erano dunque i più ortodossi, i comunisti duri e puri; dall’altra i “traditori”. Particolarmente inaccettabile per Luxemburg era il fatto che i parlamentati dell’SPD nel 1914 votarono a favore di fondi per la guerra. L’unico ad opporsi nel gruppo fu l’amico Karl Liebknecht. L’avvento della Prima Guerra Mondiale cambiò la vita di Luxemburg e l’avrebbe portata ad alzare i toni contro lo “scontro tra imperi”. Dopo aver predicato per anni la lotta e l’odio di classe, Luxemburg si disse preoccupata per lo spargersi di sangue e violenza in Europa. Già nel 1913 era stata arrestata a seguito di una manifestazione pacifista.

Il voltafaccia della SPD – inizialmente sfavorevole al conflitto – convinse Luxemburg e Liebknecht a fondare la Lega di Spartaco. Imprigionata nel 1916, venne condannata a due anni di reclusione. Proclamata la Repubblica il 9 novembre 1918, il cancelliere Friedrich Ebert – leader dell’SPD, odiato a destra e a sinistra – fece di tutto per impedire la degenerazione dello Stato in una Repubblica socialista. Ma i comunisti non ci stettero. Il primo gennaio 1919, nel caos di una Germania traumatizzata dall’armistizio di Compiègne, Luxemburg e Liebknecht diedero vita al Partito Comunista di Germania (KDP), dove confluì la Lega. L’insurrezione spartachista si rivolse contro il governo. Dopo aver proclamato la Repubblica socialista, il sindacato Revolutionäre Obleute, il Partito Socialdemocratico Indipendente di Germania (USPD) e il KDP proclamarono lo sciopero.

I sovversivi stavano organizzando a tutti gli effetti un piccolo colpo di Stato. Gustav Noske, Ministro della Difesa ordinò a oltre tremila uomini dei Freikorps si schiacciare gli insorti. L’impatto delle armi di questi ultimi fu devastante, dunque letale per i golpisti. Luxemburg e Liebknecht vennero catturati. La rivoluzionaria venne colpita dal calcio di un fucile. Il suo corpo venne gettato nel Landwehrkanal e venne ritrovato poco meno di sei mesi dopo. Bertolt Brecht le dedicò una poesia: «Ora è sparita anche la Rosa rossa. / Dov’è sepolta non si sa. / Siccome disse ai poveri la verità / I ricchi l’hanno spedita nell’aldilà». Una semplificazione grossolana, non degna del drammaturgogeniale, ma che dà l’idea del clima caotico dei primi momenti della tormentata Repubblica di Weimar.

Profondamente marxista, la missione di Rosa Luxemburg era di sradicare il capitalismo, intento che i socialdemocratici non avevano, così come non ritenevano più necessaria la lotta di classe, bastione nella teoria marxista e nel revisionismo luxemburghiano. La signora, che si definiva pacifista, pur incoraggiando la lotta di classe, sembrava giustificare la violenza come metodo di conduzione politica. L’insurrezione armata, per quanto fosse improvvisata, gettò grave discredito sulle fragilissime istituzioni tedesche post-Grande Guerra. Così grave che quattro anni dopo, a Monaco, un caporale austriaco avrebbe inscenato un altro tentativo, tra i tanti del periodo, di eliminare l’architettura di Weimar. Leggermente ferito, Adolf Hitler non sarebbe morto nel suo tentativo di colpo di Stato passato alla Storia semplicemente come il Putsch.

Nel suo Juniusbroschüre Luxemburg parlò di “socialismo o barbarie” e li mise in antitesi. Invece, i due concetti sono compatibili. Di fatto, sia il socialismo – il socialismo nazionale – che la barbarie arrivarono eccome in Germania. E non si può dire che figure estremiste come Luxemburg abbiano fatto molto per evitarlo. Al posto di consolidare le istituzioni democratiche e di ricostruire una nazione dalle macerie della sconfitta del 1918, Luxemburg ha lavorato per l’affermazione della sua idea di rivoluzione, basata sulla lotta e sull’odio di classe. Sulla violenza nell’affermare la propria visione politica. A furia di invocare per anni quel “noi” e “loro”, “borghesi” e “proletari”, non c’è da stupirsi del grado di violenza e odio – altro che pacifismo – che hanno costituito il terreno ideale per l’arrivo dell’Hitlerismo, cioè del socialismo nazionale e della barbarie.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su L’Osservatore)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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