Scacco all’Europa. La Guerra Fredda tra Cina e USA per il nuovo ordine mondiale (Solferino 2019) di Danilo Taino è un atlante dell’influenza e del “terrore” economico-sociale cinese nel nell’ordine post-Atlantico. Da una parte, influenza perché la Cina è di gran lunga il maggior partner commerciale di molti paesi. D’altra parte, terrore perché tramite una struttura verticale di controllo orwelliano estende i tentacoli del Partito Comunista negli stati esteri. Taino non esplicita questa diarchia, ma mette in guardia rispetto ai pericoli di una nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina, a colpi di influenza nei proxy states e nei paesi emergenti. L’autore offre una sorta di guida degli investimenti cinesi all’estero. Dati, particolari, realtà e riflessioni storiche rientrano nella sua analisi; l’ossatura del libro è altresì il ruolo geopolitico della Cina nel ventunesimo secolo.
Il Dragone, ad oggi al quindici per cento del PIL globale, ha rafforzato le proprie strutture sociali e imprenditoriali con un capitalismo dirigista, autoritario e illiberale. «La leadership di Xi Jinping ha comportato un salto di qualità nella proiezione internazionale della Cina». Il paese sta costruendo da anni un nuovo ordine post-Atlantico internazionale asiatico, «politico, economico, militare […] capace di dominare le terre a Vladivostok a Lisbona». Con la Pax Americana in ritirata, quella cinese – più silenziosa e meno criticata di quella degli “Yankees” – è già una realtà in Europa. «Washington riteneva che, crollati il Comunismo e l’impero sovietico, la Russia e la Cina si sarebbero definitivamente americanizzate». Così non è stato. Pechino si è espansa molto negli ultimi lustri: predilige la terra, ma non disdegna mare e cielo. Prende tutto. Compra tutto.
La Belt Road Initiative (la BRI, presentata nel 2013 all’Università di Astana in Kazakistan) è il complesso progetto di dominio geopolitico con cui Pechino vuole far breccia nelle entità nazionali estere. Ferrovie, vie marine, ponti, rotte di ogni tipo, cavi e tubi sotterranei, oleodotti e gasdotti. La BRI trasporta merci – ed influenze – made in China. Alla sua base c’è l’idea della creazione di un nuovo ordine post-Atlantico, fondato non più sul Washington Consensus, quanto sul Beijing Consensus. E nonostante Xi salga in cattedra per spiegare all’Occidente come funziona il libero mercato, mantiene la Cina ben sigillata. Il Dragone sovvenziona molte imprese, il che è illegale nel regime della WTO. Inoltre, alza barriere tariffarie e viola la proprietà intellettuale. Pechino è interessata solo ad un flusso di merci, beni e servizi rivolto verso l’estero; non viceversa. Nel 2017, l’import americano dalla Cina è stato di 505 miliardi di dollari; l’export 130.
Non stupisce l’irritazione di Washington dovuta al deficit della bilancia commerciale di 375 miliardi. Nonostante abbia una coscienza militare e civile molto sviluppata, «la Cina non è ancora pronta per un confronto diretto con gli Stati Uniti». Washington ha sì perso l’egemonia in diversi campi a favore di Pechino, ma dal punto di vista militare sembra reggere (in futuro, non è da escludere una corsa agli armamenti). E il confronto diretto può solo voler dire alzare la temperatura della guerra. Da fredda a calda. Per di più la Cina sembra unbreakable: una delle misure preferite dal Dragone per controllare i paesi è l’acquisto del debito. Paesi come Sri Lanka e Nigeria sono già caduti nella tela del ragno. Colombo ha accettato l’equivalente di tre quarti del suo PIL in termini di prestiti nel triennio 2016-2018. Abuja si è fatta prestare undici miliardi per finanziare settantotto progetti.
Pechino presta milioni di dollari alle realtà povere del pianeta. Le strutture che sorgono, servono poi ai governi – africani, ma anche del Sudest asiatico – a ripagare poi il debito contratto col Dragone. E se non possono pagare, scatta l’esproprio. È così che la Cina si annette gli stati. Senza sparare un colpo. Esempi di relazioni con stati indebitati con Pechino – dimenticati da Washington – si materializzano in progetti come il corridoio Cina-Pakistan (in funzione anti-indiana). Ma anche il rapporto privilegiato con il Kazakistan e le sue risorse, i mille chilometri di infrastrutture in Myanmar, la partecipazione di Nepal, Maldive, Bangladesh alla BRI. «L’intera Eurasia è in movimento», scrive Taino. Russia, India e Cina cercano egemonia regionale: ma è la terza che possiede capitali e risorse necessarie per garantirsela. «Pechino è poco interessata agli aspetti ideologici» dei governi a cui elargisce i prestiti.
Capitali e capitali vanno investiti il più possibile in ogni anfratto del pianeta. Soprattutto in Africa, dove la ferrovia da Gibuti ad Addis Abeba è stata finanziata e costruita dai cinesi. L’avessero fatto gli americani, i più avrebbero strillato all’imperialismo “neoliberista”; lo fa la Cina, va tutto bene, madama la marchesa. «L’interesse di Pechino per l’Africa […] è enorme, soprattutto in agricoltura, nei trasporti e nella costruzione di centrali elettriche». Il capitale cinese ha accesso facile, anche perché nessun altro paese è in grado di stanziare tali cifre. La Cina acquista imprese, sovvenziona e supervisiona le proprie aziende, investe in difesa. Ragiona in termini di generazioni; ha tattica e soprattutto strategia. Una global strategy necessaria per creare un nuovo ordine post-Atlantico. Pechino ha tempo e capitali, forza lavoro e risorse naturali. La Cina esercita un «controllo di massa cibernetico basato su punteggi individuali che classifica i cittadini».
Come spesso nella sua Storia, l’Europa è troppo focalizzata sulle proprie beghe interne. «Non si è resa conto che fuori dai suoi confini tutto si trasformava, che la globalizzazione cambiava pelle e invece di azzerare le geografia e cancellare i confini riscriveva le frontiere nazionali». L’Europa è stata profondamente disattenta agli sviluppi geopolitici e geostrategici negli ultimi vent’anni. «Tornare al vecchio ordine mondiale non è più possibile». Scacco all’Europa non è un libro sull’Europa. Il titolo è in tal senso più una conseguenza di quanto raccontato da Taino. Ossia il risultato di uno scontro tra aquila americana e dragone cinese non può che indebolire l’attore geopolitico di mezzo. L’Europa, una volta dominus del commercio mondiale, oggi schiacciata tra Washington e Pechino. Paralizzata della sua stessa burocrazia, decadente in termini culturali, infragilita dalla crisi economico-finanziaria e dalla risposta demagogica che ne è sorta. Prossima allo scacco matto.
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su La Voce di New York)