Della follia di Hermann Göring

Quando il Male è pomposo diventa grottesco. Pluridecorato “atleta del cielo” della Luftwaffe nella Prima Guerra Mondiale, Hermann Göring non solo era diventato il numero due del regime nazista tramite giri di corruzione, ricatti, violenza. Godeva altresì di una pessima fama anche tra i suoi colleghi alla corte del Führer. La vita di Göring era costeggiata da vanità ed esagerazioni, atti criminali ed efferatezze. E tanta ipocrisia: ferito a seguito del Putsch di Monaco, venne aiutato da Eduard Ballin (ex ufficiale del Kaiser Guglielmo II) di famiglia ebrea. Fu proprio da allora che, per placare il dolore, Göring iniziò ad assumere morfina. E divenne un pallone. Non smise mai di prendere l’oppiaceo fino a Norimberga. Ne assumeva cinquanta grammi al giorno; e nell’inner circle hitleriano lo sapevano tutti. Fu grazie a Ballin che si esiliò in Austria, poi in Svezia e in Italia, dove conobbe Benito Mussolini.

Riavvicinatosi al Nazionalsocialismo ed entrato nel governo nazista, il 26 aprile 1933 disse che da allora in poi la Gestapo avrebbe obbedito solo a lui. Onnipotente nel Terzo Reich, si vantava spesso che i suoi corpi militari prussiani fossero sopra la legge. E in parte era così. Fu proprio il Signore di Prussia ad avere la responsabilità diretta nell’omicidio di Ernst Röhm, quando – nella notte dei lunghi coltelli – i corpi delle SA furono trucidati (a Norimberga non avrebbe espresso rimorsi per l’ex amico: «Mi era d’impiccio», spiegò). Hermann Göring fu inoltre il primo che ordinò a Reinhard Heydrich di occuparsi della “soluzione finale”, lo sterminio industrializzato degli “indesiderabili”. Nel 1937 i duchi di Windsor gli fecero visita a Carinhall – nei cui sotterranei c’erano i tesori rubati in mezza Europa – e lui, megalomane in delirio di onnipotenza, li accolse in kimono, con pantofole in pelle.

Poi cene, incontri, divertimento a non finire. Quando fu arrestato nel 1945 pesava centoventi chili. Disintossicato dalla morfina nel carcere di Norimberga, ne perse in poco tempo circa trenta. Nella prigione l’ex comandante della Luftwaffe era arrivato come un re. Sfarzo e vanità emersero dai bauli: cappelli, impermeabili, gioielli, fazzoletti, divise da cavallerizzo e da maresciallo, mostrine, camicie da notte con maniche a sbuffo, orologi d’oro, gemme preziose, creme per viso e capelli. Una predilezione per l’estetica Göring l’aveva sempre avuta: a partire dai mantelli che vestiva tra gli uomini della Wehrmacht in divisa color cachi. A Jack Wheelis che gli procurò il cianuro per il suicidio lasciò i suoi guanti bianchi e l’orologio. Ma ci fu un ultimo gesto di arroganza, un’ultima pomposità che Göring fece prima di inghiottire il veleno. Il fatto che se ne andasse senza assumersi le sue responsabilità di uomo (o mostro) davanti alla Storia.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su L’universo)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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