L’ultimo impero multietnico

La fine della Grande Guerra decretò la fine di un’epoca e dell’ultimo impero multietnico europeo. Profondamente ottocentesco nell’architettura, scollegato dalle esigenze d’indipendenza di molti degli Stati compresi nel recinto austro-ungarico, l’Impero di Franz Joseph era una grande potenza multietnica. Fu smembrato come conseguenza del trattato di Saint-Germain-en-Laye firmato dall’Austria il 10 settembre di cento anni fa. E diede indipendenza a cecoslovacchi, trentini, austriaci, tirolesi, ungheresi, ruteni, serbi e croati. Il colpo finale all’Impero fu poi il trattato di Trianon, firmato con l’Ungheria, nel giugno 1920. Nel 1879 l’Impero aveva siglato la Duplice Alleanza con l’Impero tedesco, poi Triplice tre anni dopo, quando nell’accordo entrò anche il Regno d’Italia. Che nel 1914, quando Gavrilo Princip uccise l’Arciduca ed erede al trono Francesco Ferdinando, dichiarò la sua neutralità.

In merito alla fine dell’impero multietnico, François Fejtő parlò di una «dissoluzione del mondo Austro-Ungarico» (Requiem per un impero defunto). Il politologo ungherese spiegò che con la fine dell’impero cascò un mondo. Ovvero, un aggregato di piccoli stati tenuti assieme per decenni sotto la guida di Franz Joseph, che volgeva al termine, strangolato dalla sua arretratezza. L’Impero Austro Ungarico era figlio dell’epoca in cui era nato: forte e fragile. Esausto nel primo decennio del Novecento anche per il suo fatto di essere un impero multietnico. Difatti, dichiarazioni d’indipendenza, moti rivoluzionari, risvegli nazionali, richieste di maggiore rappresentanza si erano già visti nel 1848. Essi indebolivano Vienna e Budapest, unite sotto singola corona nel 1867. Dalla Carinzia alla Transilvania, dalla Boemia alla Slavonia, dalla Moravia alla Carniola, dalla Dalmazia alla Stiria.

Una realtà troppo eterogena, un gigante dai piedi di argilla, per essere governata nell’era dei nazionalismi. Per questo motivo e a differenza degli imperi europei del tempo, quello Austro-Ungarico non intraprese o quasi una politica coloniale. Francia e Gran Bretagna si spartirono l’Africa e il mondo, ma Vienna decise di concentrarsi di più sull’entroterra. Non era una questione di scarsità di coste – dominava quasi per intero la riva ad Est del Mare Adriatico – quanto di organizzazione della marina militare. La politica coloniale sembrava non interessare a Franz Joseph, preoccupato di conservare un’unità sociale nell’impero multietnico. Alcuni tentativi di conquista trovarono sbocco nei pressi del Corno d’Africa per uno sbocco sul Mare Indiano, ma senza successo. Impero multietnico, ma anche cristiano: poco meno di cinquanta milioni di persone a inizio Novecento, tre quarti dei quali cattolici.

Un impero di tredici nazioni che sarebbero nate dopo la fine della Prima Guerra Mondiale e multilingue. Il che inondava gli uffici pubblici di burocrazia e obbligava i dipendenti del grande Stato a parlare diverse lingue. Un segno e una volontà di unità per il gigante che si estendeva per settecentomila chilometri nel cuore dell’Europa. Oltre al tedesco e all’ungherese, sul suolo di Carlo I – succeduto a Franz Joseph nel 1916 – si parlava italiano, sloveno, ceco, polacco, slovacco, romeno, ruteno e yiddish. Una situazione insostenibile per un impero moderno. Sebbene il trattato di Saint-Germain non fu duro quanto quello di Versailles, le potenze vincitrici non furono tenere nei confronti di Vienna. All’Austria fu impedita e un’unione con la Repubblica di Weimar e una limitazione dell’apparato militare.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su L’Osservatore & Buongiorno Slovacchia)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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