Seminano l’intolleranza, predicano l’odio, inneggiano al nazionalismo. Non lasciano spazio a chi dissente, a chi è diverso, a chi non è d’accordo. Le democrature (o democrazie illiberali o autoritarie) possono degenerare in totalitarismi. E stanno sempre di più riacquisendo un indomabile fascino in Occidente in ampi settori della popolazione. Sempre più spesso, il modello di società aperta e liberale, democratica e tollerante sembra non essere ritenuta all’unanimità la formula migliore del vivere civile. Sono diversi gli elementi che consentono di intravvedere la nascita di una democrazia autoritarie, dunque di anticamere dei totalitarismi. Innanzitutto, ci vuole un partito. Per quanto questa ottocentesca forma di aggregazione di pensiero sia vilipesa, sembra essere pur sempre necessaria alla cementificazione di un esecutivo che fa strame del liberalismo.
Il partito assume dunque la fisionomia di un agente forte, unico, compatto e in grado di mobilitare la folla con rapidità ed efficienza. Un partito-Stato: un’entità totalizzante, invadente che ha costantemente il polso della società e la domina dall’alto. In generale, sarebbe meglio che il partito sia nuovo di zecca, ma anche se questo conserva un’ideologia passata o che si richiami al passato, male non può fare; ad ogni modo. Il leader del partito deve avere una personalità forte e carismatica, energica e determinata. Egli è l’incarnazione dell’ideologia prescelta e chiede adesione totale e cieca alla sua causa. Tra il suo popolo e lui si forma una sorta di circolo vizioso: il capofila che vuole assomigliare al suo elettorato e il suo elettorato che vuole assomigliare al leader. Per il leader non è difficile acquisire consenso, ma la sua prima preoccupazione in realtà è mantenerlo.
E quindi regalie e prebende alla massa afflitta dal complesso di sudditanza devono urgentemente uscire dalla borsa dello Stato per creare consenso. Qualsiasi voce di dissenso va eliminata: è necessario. L’agire quotidiano del leader non può essere intralciato da chi tenta d’instaurare ponderatezza e raziocinino nel regime. L’epurazione dei dissidenti consente al boss di avere mano libera in tutti i campi. In seguito all’estromissione dell’eretico, l’abrogazione del merito è un altro passo verso il sistema (proto)totalitario nelle democrazie. Distruggere il concetto di individuo – il totalitarismo vuole l’anima del proprio adepto – è una prerogativa essenziale per creare un’indistinta massa di miopi ed obbedienti sostenitori. Va da sé, che il sostegno ad ogni forma di negazionismo diventa il sistema migliore per opporsi all’evidenza. Il negazionismo e la conseguente distruzione del merito portano alla logica dell’uno vale uno.
L’eliminazione del merito e il conseguente appiattire la società in nome di una modellabile uniformità sociale – che elimina la libertà individuale – è quanto è stato fatto in tutti i totalitarismi del secolo scorso. Il leader, dal canto suo, lo sa benissimo, tanto è vero che si rivolge enfaticamente al popolo urlando sguaiatamente: “amici”, piuttosto che “compagni”, o “camerati”. Lisciare il pelo agli scontenti è fondamentale per chi vuole instaurare un totalitarismo. Solleticare gli istinti degli indecisi e degli indifferenti può fare la differenza al momento del voto o quantomeno della grassa raccolta di consenso. La semplificazione della realtà – azione necessaria per chiunque voglia affermarsi e dominare un dato contesto sociale – è usata verbalmente ad ampio raggio. A furia di ripetere una bugia, questa si trasformerà in verità agli occhi e alle orecchie del grande pubblico, stordito dal messaggio anomalo.
Per consolidare la propria influenza e assicurare la perpetuità della sua ingombrante ideologia, il leader elimina anche il dissenso che potrebbe levarsi dalla società. Egli deve minacciare i giornalisti e accusarli di propagare notizie false. Il giornalista libero e indipendente non trova spazio nella società in preda al virus del totalitarismo. Chiunque si opponga con la sua penna alla follia totalitaria e faccia appello alle più basiche libertà di espressione deve essere allontanato. Potrebbe accendere la scintilla della ragione nei suoi lettori. Per quello che riguarda il rapporto tra la nazione – spesso una finta repubblica, il più delle volte anticipata dall’aggettivo “democratica” – e i paesi limitrofi, questi sono potenziali nemici. L’invasione e l’annessione territoriale oggi sembrano impraticabili, ma scatenare una piccola crisi diplomatica può essere il primo passo per le mire espansionistiche. Specialmente di chi assume una politica estera aggressiva.
Le dispute territoriali sono il pretesto più naturale per instaurare una crisi. Il rapporto con l’estero è determinato dalla ricerca dell’utopica autarchia. Sebbene tale ricetta non abbia mai funzionato, i leader più presuntuosi si rifanno ai modelli di economia solitaria, ignorandone l’inefficacia. Per coprire i fallimenti il leader che mira all’instaurazione di un sistema totalitario accusa sempre le gestioni precedenti. Coloro i quali lo hanno preceduto sono i capri espiatori e l’origine di tutti i mali. Non stupisce quindi che l’attenzione dei leader dalle mire totalitarie sia rivolta verso i “poteri forti”. Quei poteri forti che egli dice di aver distrutto e che addita come artefice delle più perverse congiure, ma che in realtà sono un ostacolo alla realizzazione dei suoi piani di predominio sociale. Ciliegina sulla torta, l’Antisemitismo. Per quando possa sembrare un dettaglio, per gran parte delle democrature governate dai ducetti del Duemila, l’ebreo è sempre una minaccia.
Più di qualsiasi altro popolo, quello ebraico è sempre stata una delle vittime preferite dei regimi totalitari. Si inizia con lo sdoganare testi come i Protocolli dei Savi di Sion e si passa per le leggi razziali e razziste. Si arriva as Auschwitz. Una lezione che certi movimenti politici e alte figure di alcuni governi non solo non hanno capito, ma intendono ripetere in modalità diverse. Riassumendo, un partito forte, un leader dinamico, un’ideologia rozza, la distribuzione di risorse, l’eliminazione dei dissidenti, l’abrogazione del merito, le minacce ai media, l’uso di notizie false, la semplificazione della realtà, le crisi diplomatiche, la ricerca dell’autarchia, l’individuazione del capro espiatorio e l’antisemitismo. Se riuniamo tutti questi elementi scopriamo che essi non sono molto lontani da quelli che certi governi hanno adottato e adottano nel loro esercizio del potere esecutivo.
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su L’Osservatore)