Un carattere schivo, talvolta ombroso. Lontano dagli sguardi pressanti dei suoi estimatori accumulati nei suoi decenni d’arte. L’italo-elvetico Arturo Benedetti Michelangeli scomparve ventidue anni fa. Una gemma preziosa per il piccolo Ticino, regione culturalmente vicina alla musica e al Maestro. Capelli corvini e il dolcevita di ugual colore, estimatore di Friedrich Chopin, raffinato interprete dei grandi maestri nell’età moderna, riteneva la musica sacra e inviolabile. «Un’intima colata di umano e di divino» avrebbe detto Mario Luzi, che stimava il musicista. Arturo Benedetti Michelangeli definiva la musica come «un diritto, ma soltanto per colui che la merita». Ricordava inoltre che essere un pianista e un musicista, non è una professione. «La musica è una filosofia, una concezione di vita che non può basarsi né sulle buone intenzioni, né sul talento naturale. Bisogna avere prima di tutto uno spirito di sacrificio inimmaginabile».
Come ricordò Fernanda Pivano, Arturo Benedetti Michelangeli era una sorta di Claude Debussy o un Franz Listz. Era attraente anche per musicisti che si occupavano di alti generi rispetto alla musica classica, come Franco Battiato, che lo citò nel brano “Mesopotamia” del 1989. «Arturo Benedetti Michelangeli ha parlato a tre anni, eppure era un genio», disse il cantautore. Che forse faceva riferimento ai tre anni in cui il futuro maestro iniziò a studiare (al) pianoforte per volerei dei genitori appassionati di musica. Durante la sua tournée a Zurigo, il 6 ottobre 1986 Benedetti Michelangeli dettò le sue ultime volontà nove anni prima del grande addio al pubblico. «Non dovrà esserci funerale pubblico, desidero che la mia salma sia benedetta da un religioso, essere sepolto in una cassa semplice, nella nuda terra con una sola croce, senza lapidi, a Pura».
Sempre a Zurigo il maestro si rifiutò di suonare. L’umidità di una giornata grigia aveva intaccato la meraviglia degli strumenti, non consentendo – a detta dell’artista – un adeguato suono melodico. Riservato e scostato dalla calca della stampa pressante, Benedetti Michelangeli disse una volta che «la perfezione è una parola che ancora non comprendo. La perfezione è un limite, un circolo chiuso. L’evoluzione è qualcos’altro. Ma la cosa più importante è il rispetto per l’autore». E se sono ventidue anni dalla morte del marito, è solo da due anni che Giuliana Guidetti – l’innamorata custode dei segreti armonici del maestro – è scomparsa. Sposata con il maestro 1943, confermò che il marito fece della discrezione lo stile di una vita.
Una musica vellutata e meravigliosa quella di Arturo Benedetti Michelangeli. Tournée infinite in tutto il mondo, in contrapposizione al piccolo villaggio svizzero ove cercava intimità e solitudine. Cordiale amico dei compaesani di Pura, duro e secco quando indossava il frac e poggiava le dita sul meraviglioso pianoforte. Commuovente la descrizione del maestro fatta da Armando Torno in occasione del quinto anno dalla sua scomparsa. «Puntualizzava, levigava, si tormentava per dettagli di cui nessuno si era […] accorto. Costruiva per le anime qualcosa che sottraeva al silenzio delle altre letture. E a questo scopo rifiutò tutte le concezioni banali del mondo, distaccandosi dalle risate inutili e vuote di ogni mondanità, eliminando il superfluo, vivendo come un mistico che si reca al pianoforte per le sue visioni e designa la tastiera quale altare delle sue offerte».
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su L’universo)