«Esistono cinque categorie di bugie», disse George Bernard Shaw. «La bugia semplice, le previsioni del tempo, la statistica, la bugia diplomatica e il comunicato ufficiale». In un momento storico in cui domina la crisi d’identità dell’individuo e la sua lunga permanenza all’interno di un mondo di post-verità è utile sottolineare che le fake news e le bugie non sono nate oggi nel discorso sociale e politico. Come diceva Gianni Rodari, «nel paese della bugia, la verità è una malattia», ma per governare abilmente il paese della verità, è forse necessaria qualche fandonia. E questo la Storia lo mostra bene. Molti personaggi hanno detto bugie e tratto in inganno il prossimo. Ulisse era un ingannatore della morte, un «uomo dal multiforme ingegno», come scrisse Omero, machiavellico simulatore e dissimulatore. Noto anche come Odisseo, l’inventore della più mitologica delle menzogne, il Cavallo di Troia, è sempre riuscito a superare le asperità.
Tanto è vero che nella sua Commedia Dante Alighieri l’ha posto nell’Ade con i fraudolenti. Tra i bugiardi della Storia, anche la Papessa Giovanna, l’unica femmina eletta Papa, destinata a regnare e imperare sul soglio di San Pietro. Intenditrice del travestimento e l’arte dell’inganno meschino scalò la casta clericale e divenne Pontefice nel 853. Camuffata con sontuosi abiti da Santo Padre, indottrinò lo stato maggiore della Chiesa dandosi parvenze del tutto virili. Scoperta nell’inganno a causa di una gravidanza non voluta, venne trascinata per Roma da un palafreno ed in seguito lapidata a morte. E a proposito di crisi mistiche e religiose, è proprio nell’Inferno di Dante, che i falsari sono condannati e puniti per l’eternità. Gianni Schicchi – che in vita s’è finto il defunto Buoso Donati il Vecchio per ottenere favori dal suo testamento.
E che si finse a sua volta un’altra dama per intrattenere una relazione amorosa ed incestuosa col padre – sono i condannati davanti ai quali il capostipite della Letteratura Italiana. Samuel Langhorne Clemens disse che «una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe». Inoltre, «una delle più vistose differenze tra un gatto e una bugia è che il gatto ha solo nove vite». Il suo Huckleberry Finn è un giovane ragazzo sfacciato, spavaldo e curioso che riesce a simulare un suicidio nel fiume per scappare al padre ubriaco. Il grande regista, spregiudicato illusionista, vulcanico ed eccentrico narratore della realtà e della finzione Orson Welles è ricordato nella Rivista del Cinematografo da Gianluca Arnone per spingere «l’arte della menzogna là dove non c’è ritorno, liquidando una volta per tutte l’annosa questione del referente e dell’originale in luogo di un’autonomia creativa totale».
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su L’universo)