I motivi della discesa in campo e della vittoria di Silvio Berlusconi

La discesa in campo di Silvio Berlusconi del 26 gennaio 1994 è stato uno spartiacque tra il vecchio – la Prima Repubblica travolta dagli scandali giudiziari – e il nuovo – la Seconda Repubblica, che poi così nuova non era. La discesa in campo del Cavaliere è stata oggetto di ampia letteratura. Ma soprattutto di interpretazioni più o meno benevoli, a seconda dell’amicizia accordata al personaggio politico che più di tutti, negli ultimi trent’anni in Italia, ha fatto discutere. L’entrata in politica di Berlusconi fu il risultato di una combinazione di ambizioni e necessità personali, un desiderio di contribuire al cambiamento del paese e la capacità di sfruttare la propria popolarità e la vasta piattaforma mediatica. Sono diverse le motivazioni che spinsero Berlusconi ad attraversare il Rubicone, come si disse al tempo. E sono tutte vere e non mutualmente esclusive.

La discesa in campo fu la certificazione della conclusione di un’era politica e al contempo l’apertura di una nuova epoca piena di incognite. Certamente Berlusconi scese in campo per i debiti contratti dal suo impero aziendale e per la necessità di porvi rimedio. Tuttavia, la questione delle cosiddette “leggi ad personam” non si poneva almeno inizialmente, visto che Berlusconi stesso non poteva essere sicuro di vincere e legiferare “da sé”. Secondariamente, i protettori politici che gli avevano fatto decreti e concessioni ad hoc erano stati spazzati via da turbinio di Mani Pulite. Terzo, l’ambizione. Il Berlusconi-imprenditore ha sempre vinto tutto quello che poteva. La politica, secondo lui, non poteva essere differente. I partiti moderati, di cui egli stesso si propose di rilevare gli elettori, non erano scomparsi nelle aule giudiziarie del Tribunale di Milano. Ben conscio delle sue extra-ordinarie capacità oratorie, si gettò nella mischia politica e, a sorpresa, vinse.

Vinse, nelle elezioni politiche del 1994, per altrettante diverse ragioni. Al tempo, l’Italia era coinvolta in una profonda crisi politica ed economica; i partiti di governo erano stati azzerati e il sistema dei partiti – costoso, corrotto e inefficiente – si era sgretolato. Berlusconi, imprenditore di successo, si propose come l’uomo delle nuove energie che colmava un vuoto. Il guru con capacità manageriali, che vendeva sogni e che fu in grado di sfruttare abilmente la legge elettorale maggioritaria approvata dal Parlamento qualche mese prima. L’invenzione di una doppia coalizione che conciliò l’inconciliabile – Lega Nord e Movimento Sociale Italiano – era qualcosa di inedito. Non solo nel panorama politico italiano pre- e post-1994, ma anche europeo. L’intuizione venduta agli alleati e agli elettori è stata parecchio innovativa. Sarebbe poi stata imitata in Europa e nel mondo e occasionalmente definita come populista.

Secondariamente, la campagna mediatica. La proprietà di media e tv commerciali, giornali e riviste, gli ha fornito una piattaforma di comunicazione di massa del tutto nuova per diffondere il suo messaggio in sede politica. Attraverso i media, Berlusconi ha potuto presentarsi come l’unica vera alternativa ai partiti esistenti o moribondi. Creò un’immagine di sé come l’uomo in grado di riportare l’Italia alla prosperità – “un nuovo miracolo italiano”. L’affermazione di Berlusconi fu anche la sua affermazione tv. Il mondo berlusconiano era già da lustri nelle case di milioni di italiani. Non si dimentichi un altro fattore, il terzo. La popolarità si rifaceva alla sua immagine di imprenditore di successo e uomo di spettacolo. La sua capacità di comunicazione carismatica e il suo stile diretto e informale lo hanno reso attraente per molti italiani stanchi della grigia politica tradizionale.

La comunicazione è un aspetto essenziale per comprendere Berlusconi. Il suo modo di interagire con l’elettore aprì un modo nuovo. Le parole del Cavaliere erano semplici e slegate da concetti complessi. Il suo carisma fu il collante. Berlusconi era in grado di sedurre tutti, anche i nemici. Venditore tv, era una figura istintivamente portata ad infondere ottimismo e speranza nel 1994. Una differenza non da poco rispetto agli schieramenti che si sono opposti al Cavaliere nella sua lunga parabola politica. Tuttavia, il candidato Berlusconi non è mai stato in grado di scrollarsi di dosso il famoso conflitto di interesse, nonché i reati commessi nella vita precedente a quella politica. Fantasmi che avrebbero scandito il passo della sua performance politica nei trent’anni successivi. Sull’immagine del vincente, del self-made man del Nord, dell’uomo deciso e solare, del comunicatore attento all’estetica piaceva moltissimo a milioni di italiani – esteti e narcisisti.

Nel 1994 Berlusconi era relativamente giovane. Spavaldo e vincente; uomo affascinante, dal successo facile e dai risultati palpabili. Un uomo, come si dice, “del fare”. Seppe vendersi come figura svincolata dal sistema dei partiti – non era vero! –, mentre a tratti ne era la continuazione, eccettuata, tra le altre cose, la comunicazione asciutta, semplice ed efficace. Una quarta motivazione alla base del successo di Berlusconi fu il suo impegno – a parole – per la politica economica. Per la prima volta in Italia, la retorica – solo quella! – liberale trovava spazio su altri piani della politica nazionale. Berlusconi fu abilissimo nello sfruttare i postumi del Reaganismo e del Thatcherismo – che poi non portò in Italia – esprimendo però la sua preoccupazione per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro. Sostenne che la sua esperienza di imprenditore gli avrebbe permesso di affrontare meglio le sfide economiche dell’Italia.

Nel 1994 – e dopo – Berlusconi fu lo spin doctor di se stesso. Piaceva a chi, nel settore imprenditoriale, si sentiva vessato dallo Stato tentacolare. Un quinto elemento fu dunque la mancanza di alternative: o meglio, l’alternativa del “comunismo”, che il Cavaliere, di nuovo, sfruttò abilmente. La caduta del Muro di Berlino, la conseguente fine del Patto di Varsavia e del Comunismo e il collasso dell’URSS sembrerebbero essere stati fattori decisivi nelle elezioni del 1994. A livello storico la tesi di un pericolo comunista impellente nell’Italia non è verosimile – questo non impedì alle sinistre del tempo di apparire all’opinione pubblica come grossolanamente attaccate al sistema comunista che faceva acqua da tutte le parti. Gli avversari di sinistra si sono dimostrati poco convincenti e hanno sprecato la loro occasione di dimostrarsi presentabili nell’Italia prossima al nuovo secolo.

Infine, con la discesa in campo di Silvio Berlusconi si arrivò ad un nuovo metodo che definì la politica dei trent’anni a venire. Il marketing. Il Cavaliere fu un abile utilizzatore delle tv e la semplificazione del messaggio che esse veicolavano. La vicinanza di Berlusconi ai suoi elettori era qualcosa che mai venne espresso dalla vecchia classe politica. La fluidità del messaggio del Cavaliere si vedeva nella mancanza di un’ideologia riconoscibile e omogenea tipica del suo Polo composto da diverse anime. Dal regionalismo leghista al centralismo missino, dalla destra nordista a quella post-monarchici del Sud. Dal cattolicesimo erede della DC alla politica economica liberale. Silvio Berlusconi rappresentava il sentimento e il desiderio di cambiamento tra gli italiani. Vinse per tutti questi fattori. Il nuovo, pur vecchio cresciuto nel sistema dei partiti e degli anni Ottanta, che si presentava come nuovissimo.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su AlterThink)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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