Tutta l’opera di Louis-Ferdinand Céline non è separabile dalla vita del suo autore. Lo si vede anche in Guerra (Adelphi 2023), romanzo rimasto inedito per decenni e recentemente emerso e tradotto in italiano. Alla prima pagina si legge la confessione dell’autore: «Mi sono beccato la guerra nella testa». Il che riassume perfettamente il tema dell’opera, che si rivela uno dei casi editoriali dell’anno. A sessant’anni della morte di Céline, Guerra è pubblicato dopo un lungo lavoro di editing. Un resoconto che riflette la confusione nella stesura dell’opera e dell’autore stesso. Ferito al braccio e poi alla testa perché scagliato contro un albero da un’esplosione, Céline è un fiume in piena di racconti. Il lettore percepisce la “fisicità” del suo linguaggio schietto, diretto, rozzo. Si fa esperienza del dolore alla testa dello scrittore, sballottato tra campi e trincee. Un’esperienza lugubre, violenta, ma anche formativa quella della Grande Guerra. Un’esperienza sporca.
Come sporco è il manoscritto che è giunto a noi. Buttato giù velocemente senza grosse rifiniture. Strano, perché l’autore teneva a ripassare più volte le sue storie. In questo libro, la confusione stilistica e mentale è palpabile. Viaggio al termine della notte è infatti molto più leggibile e accurato. Il protagonista è Céline stesso, che per gran parte del romanzo è sdraiato sul letto di un ospedale, circondato dal panico, dalla paura, dal rumore. «Sentivo che dentro di vita ne restava ancora molta»; «all’interno facevo più rumore io di una battaglia». Il corpo di Céline, martoriato dalle ferite, è il campo di battaglia stesso. Una metafora della guerra di trincea. «Ne avevo le palle piene», diceva a proposito degli ospedali da campo. Scherzava e trattava male le infermiere. Fasciato agli occhi, racconta sboccatamente le cure che gli venivano riservate ogni giorno.
Dove l’odore di putrefazione dei morti era costante; vomito, deliri. L’autore fa un esame di coscienza: passa in rassegna la sua vita. Parla anche dei genitori, dei culi delle belle infermiere, dei desideri erotici. Ma anche delle notti che non passano e che lasciano spazio alla paura e all’immaginazione. L’ospedale diventa dunque un’altra trincea: una trincea nella trincea. Qui la paura, l’angoscia, è sempre lì. Il sesso non è piacere, ma è un atto animale. In guerra, d’altra parte, non c’è spazio per il piacere. Céline racconta della sua stanchezza, ma non esista a deliziare il lettore con la sua scurrile ironia. Maestro delle parole e del racconto, in Guerra l’autore ha trovato la sua ragione di vita e di scrittura. «La guerra mi aveva dato un mare pure a me, solo per me, un mare rombante rumoreggiante assai dentro la testa. Viva la guerra!»
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su theWise Magazine)