Identità: il liberalismo le promuove tutte

In politica, per identità si intendono due cose. Da una parte la scomparsa e l’annacquamento dell’identità nazionale frutto, in parte, della globalizzazione. Questo genere di identità attrae l’attenzione del mondo conservatore e ultraconservatore, che denuncia la scomparsa dell’essere “italiano”, “francese”, “americano”, etc. a favore di un ampio multiculturalismo nel quale, per definizione, il concetto stesso di identità nazionale perde di significato. Dall’altra, un altro concetto di identità, ovvero le nuove identità a cui alcune comunità sociali dicono di appartenere. Questo secondo concetto di identità attrae l’attenzione invece del mondo progressista e ultra-liberal, che propone l’estensione del concetto a gruppi un tempo non considerati, trascendendo le oggettive differenze biologiche. Secondo costoro non si nasce donna o uomo, ma donna o uomini si diventa. Il dibatto sulle due identità riflette la divisione manichea sull’intendere l’identità stessa.

Sia il mondo ultraconservatore che quello ultra-progressista ritengono le ragioni identitarie espresse dall’altro mondo come illegittimo e pericoloso. D’altra parte, il liberalismo – la terza via tra universi politici che non comunicano tra loro e si annullano l’uno con l’altro al prezzo di una nociva polarizzazione del discorso pubblico – promuove entrambe le identità, senza scivolare nell’estremismo. Promuove altresì la possibilità di coltivare sia quella nazionale, che quella di genere. Si dice che la prima sia una cosa di destra e il liberalismo è una cosa di sinistra. Nulla di più sbagliato, giacché l’identità in generale è un elemento di analisi, non una dottrina. Non appartiene ad un dominio politico, ma le correnti politiche possono rivisitare il concetto e vederlo alla luce dei propri crismi. Presentare come negativa l’identità nazionale ha antagonizzato il liberalismo per molte persone, che hanno frainteso e dunque rigettato il liberalismo.

Spesso e grossolanamente, il liberalismo viene confuso con il progressismo. Ma così facendo si dimentica che oltre ad un progressismo liberale esiste un conservatorismo liberale. Su questi due terreni politici, escludendo quindi gli estremi a destra e sinistra, si potrebbe giungere ad una definizione pragmatica dell’identità come concetto politico, che tenga conto di tutte le sensibilità politiche maggiori. In altri termini, il liberalismo potrebbe essere il federatore che unisce – in virtù della sua capacità di frapporsi tra i rigidi mondi conservatori e progressisti – del concetto di identità. Per tranquillizzare i conservatori, il liberalismo attua considerazioni sull’identità nazionale. Lo ha spiegato Francis Fukuyama (Il liberalismo e i suoi oppositori): «Le nazioni sono importanti non solo in quanto centri del potere legittimo e strumenti di controllo della violenza, sono anche un’eccezionale fonte di senso comunitario». Sminuire il concetto di identità nazionale è un errore politico.

Se questa non può e non deve essere il centro morale o di interesse della condotta umana, è pur vero che non deve essere fonte di discredito da parte di chi è attento a questioni di genere. «Con l’aumento delle dimensioni e della complessità delle società umane nei secoli, i legami di solidarietà si sono ampliati notevolmente dalla famiglia e dal villaggio alla nazione intera. Sono poche invece le persone che amano l’umanità nel suo insieme. Per la maggior parte degli esseri umani in tutto il mondo, la nazione rimane la cerchia di solidarietà più ampia verso cui si sentono istintivamente fedeli, una lealtà che diventa fondamento decisivo della legittimità dello stato e dunque della sua capacità di governare». L’identità nazionale rappresenta un pericolo per la società liberale quando questa viene erta ad elemento di discriminazione nei confronti di alcuni attori.

Se, in altre parole, essi vengono discriminati perché appartenenti ad un’altra identità sociale o statale o nazionale costruita. L’identità nazionale è un costrutto sociale. Non è un bene o un male di per sé: dipende da che uso se ne fa quando si opera nella cosiddetta società. Può dunque indebolire o rafforzare i principi liberali o la società aperta, così come può distruggerla e alterarla. Può essere ad esempio un collante per forgiare una nazione all’insegna della convivenza pacifica della stessa e dei suoi cittadini nel sistema internazionale. Viceversa, può essere un elemento distruttivo per la società aperta se viene strumentalizzata come grimaldello. Fukuyama definisce il liberalismo come un meccanismo per gestire la diversità. Il liberalismo deve gestire anche l’identità nazionale e il desiderio di alcuni nella nazione di far leva su questo principio per determinare la propria identità – di genere e non, politica e non.

Sarebbe illiberale impedire un apprezzamento del culto identitario nazionale. E sarebbe ingiusto pensare che l’appartenenza anagrafica ad uno Stato non esercita un minimo d’impatto sugli individui. Se è vero che il concetto di nazione e di nazionalità è stato annacquato con la globalizzazione, è errato assumere che la nazione non abbia più un ruolo nella società globalizzata. Secondariamente, se è vero che ognuno ha il diritto di raffigurarsi come desidera, è sbagliato guardare all’idea di identità nazionale come fosse un male. «In una concezione positiva di identità nazionale c’è molto di più che la buona gestione della diversità e l’assenza di violenza. I liberali tendono a sottrarsi agli appelli del patriottismo […], ma non dovrebbe essere così: l’identità di una società aperta e liberale è qualcosa di cui dovrebbero andare […] orgogliosi, mentre la loro tendenza a sminuirla ha permesso all’estrema destra di rivendicare per sé questo terreno».

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su Corriere dell’Italianità)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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