La sincerità non assolve né Bettino Craxi né il Paese

Il 3 luglio 1992 la Camera dei deputati era in silenzio: per la prima volta dall’inizio di Mani Pulite, Bettino Craxi parlava in modo solenne e deciso del finanziamento pubblico ai partiti. Il discorso che il leader socialista pronunciò esattamente trent’anni fa da oggi fu un importante documento storico per il tempo e tuttora getta le premesse per ragionamenti, domande e riflessioni sul finanziamento delle attività politiche in Italia. Ma anche della sua degenerazione in corruzione, nonché la responsabilità del Paese e dei cittadini in materia. Con lo scoppio di Mani Pulite la classe politica italiana nel suo complesso venne portata alla sbarra tra corruzione, falso in bilancio e violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. La tempesta del 1992-1994 alterò accordi e piani politici tra partiti sempre più ridimensionati. Si unì, pertanto, ai fattori destabilizzanti dell’Italia dell’epoca: stragi di mafia e crisi economico-finanziaria.

Considerato l’ultimo grande discorso del leader del Garofano, il discorso di Craxi riassumeva la vicenda del finanziamento dell’attività politica in Italia in materia di finanziamento dei partiti. Certo del fatto che sarebbe stato raggiunto da un avviso di garanzia, Bettino Craxi intendeva difendere il sistema dei partiti, spiegare, in extremis, le ragioni del finanziamento illegale e difendere la sua immagine e la sua persona. La questione del finanziamento pubblico era ed è una questione antica. Già Piero Calamandrei (Patologia della corruzione parlamentare) si espresse sull’argomento. «L’organizzazione dei grandi partiti richiede somme ingentissime di denaro: per trovarle tutti i mezzi diventano buoni. Quelle operazioni […] che ognuno considererebbe delittuose se fatte soltanto nell’interesse privato, diventano lecite e usuali purché una parte dei proventi si versi nelle casse del partito (e una parte, si capisce, resta nelle tasche del prestanome)».

Partiti e associazioni di contorno costavano. Col tempo, i primi erano diventati grandi consorterie di promozione delle correnti. «Tutti sapevano benissimo che le gigantesche macchine partitiche costavano ben più di quanto non ammettessero, ma tutti facevano finta di nulla», ha scritto Ernesto Galli della Loggia (Intervista sulla destra). Spesso i partiti erano finanziati illegalmente da imprenditori che per ottenere appalti o leggi versavano una somma a tutte le forze politiche, sia su scala locale che regionale e nazionale. Il sistema illecito di finanziamento era cosa nota per il fatto che parte della cosiddetta società civile era coinvolta nel meccanismo. Il discorso di Craxi si rivolgeva anche a chi poi avrebbe scagliato monetine (o vaffa, anni dopo) e urlava o avrebbe urlato per le piazze, ma che probabilmente aveva a sua volta fruito del dispendio dei partiti o aveva addirittura pagato i partiti per i favori.

La violazione della legge sul finanziamento pubblico del 1974 degenerava quindi in falso in bilancio. Questi bilanci, come Craxi avrebbe poi detto in occasione al Processo Enimont nell’autunno 1993, erano sistematicamente falsi. Le tangenti e le fonti “extra” di finanziamento non erano inserite nei registri dei partiti, i quali incameravano denaro in violazione della legge. Questa fu varata proprio per sanare la situazione politica visti i precedenti casi di corruzione della Prima Repubblica. Corruzione che non ebbe un’estensione sistemica anche a causa dell’immaturità dei tempi storici. Col crollo del Muro di Berlino cessava la divisione tra Est e Ovest. Il sistema di finanziamento illegale e clientelistico italiano venne esposto al cambio dei tempi. Ciò non venne intuito dalla classe politica italiana. Lo capì invece il Paese e lo ricordò Craxi, in ritardo, in Parlamento.

«E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. I partiti, specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare o illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’Aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro». Questo è il passaggio fondamentale del discorso di Craxi. Difficile dargli torto.

Il che non vuol dire assolverlo rispetto dalle sue oggettive colpe politiche. Craxi fece un discorso di verità. Tuttavia, fu un discorso tardivo che lo stesso leader socialista non avrebbe fatto in altri contesti o tempi. Appena tre mesi prima aveva scaricato Mario Chiesa definendolo un mariuolo, salvo poi fare marcia indietro nell’estate 1992 e ammettere che il sistema delle tangenti scandiva di fatto la realtà politica e sociale del Belpaese. Craxi ebbe il merito, pur tardivo, di ammettere quel sistema criminale. Il suo demerito, fu che egli negli anni non fece nulla per alterare questo sistema. Esporlo. Distruggerlo. Anzi: lo conosceva bene e lo incentivò ai fini della scalata al potere. Non fu il solo. Ma da leader di carisma e intelligenza Craxi ha la colpa politica di aver avvallato un sistema tangentizio che ha cagionato un grosso logoramento istituzionale.

Bettino Craxi era un riformista. Avrebbe dovuto riformare – e di tempo ne ebbe parecchio, dal 1983 al 1987 – la questione del finanziamento illecito. Non lo fece. Aveva l’intelligenza per farlo ma preferì guardare altrove. Perché quel sistema gli serviva per inserirsi come terza forza tra le due grandi chiese, DC e PCI. L’autonomia socialista era la giustificazione politica per il finanziamento illecito – non può essere, tuttavia, una giustificazione legale per perpetrare crimini. Craxi sarebbe stato innovativo e ancora più riformista se avesse arringato sul tema nazione e Parlamento ben prima del 3 luglio 1992. Il discorso di Craxi fu estremamente scenico. L’Aula di Montecitorio al completo era sorda e silenziosa. Da destra a sinistra nessuno si alzò a smentire Bettino Craxi. Con le dovute e doverose eccezioni, troppi, per quasi mezzo secolo, hanno tratto benefici dal cosiddetto sistema.

La macchina della corruzione era diventata la grande macchina della costruzione del consenso per i partiti politici. «Quanto è più diffusa la corruzione, tanto minore sarà il rischio di essere denunciati per coloro che decidono di entrare in accordi illegali, e maggiore invece il prezzo pagato da coloro che decidono di restare onesti», ha scritto Donatella della Porta (Un paese anormale). È proprio la corruzione il problema di fondo della questione di Mani Pulite; una questione affrontata da Craxi nel discorso, che tuttavia ha più valenza politica. Si noti però che «la corruzione danneggia il meccanismo della concorrenza […] distorce la spesa pubblica […] i controlli che la lotta alla corruzione rende necessari finiscono per aumentare la burocrazia e danneggiano le imprese», ha scritto Carlo Cottarelli (I sette peccati capitali dell’economia italiana). In economia la corruzione sfalsa il libero mercato. In politica trucca il gioco democratico.

A farne le spese è la cittadinanza. Da una parte percettrice indiretta e dall’altra vittima. Il discorso di Craxi, tardivo, fu sincero e corretto, ma fuori tempo massimo. Il suo fu intrepretato come un messaggio di autoassoluzione della classe politica. Il 3 luglio 1992 Bettino Craxi sapeva di fare il discorso più importante della sua vita. Allargava la tangente a rapporto tra politica e cittadinanza. Coinvolgeva tutti. Ha scritto Simona Colarizi (Passatopresente): «nell’immaginario collettivo è rimasta però una vulgata semplificatoria che criminalizza la classe politica ai partiti, ladri, corrotti e corruttori, liquidati grazie ai giudici intervenuti a stroncare i crimini commessi a titolo personale o per la violazione della legge sul finanziamento pubblico». I regimi sopravvivono anche grazie alla lealtà di massa. Per troppo tempo questa lealtà era ed è stata drogata di soldi privati e soldi pubblici. Il vantaggio era per molti, ma a rimetterci è stato il Paese.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su AlterThink)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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