Il PIL mondiale ha lasciato negli anni sempre più spazio alla crescita cinese. Secondo “The Spectator Index”, nel 1988 Pechino contribuiva solo per il 4.1 percento al PIL globale. Percentuale che si è alzata di poco nel 1998 (6.9); poi dodici dieci anni dopo, fino al 18.7 del 2018. Il che vuol dire che poco meno di un quinto del PIL mondiale è rappresentato dalla Cina. Un paese in cui secondo Reporters sans frontières la situazione in termini di libertà di stampa è in condizioni drammatiche (176esimo paese su centottanta). Inoltre, la percezione della corruzione è parecchio alta (secondo Transparency era il settantasettesimo paese su centottanta nel 2017 e ottantasettesimo nel 2018). I diritti umani sono calpestati, il controllo statale della vita privata dell’individuo è orwellianamente capillare. Sono settimane che si parla di Via della Seta, ma il flusso di capitali cinesi in Europa non si è fermato.
Secondo l’ISPI (dati Rhodium Group), dal 2000 al 2018 la crescita cinese in termini di investimenti nel Vecchio Continente è stata massiccio in Gran Bretagna (46.9 miliardi). Segue la Germania (22.2), poi l’Italia (15.3), la Francia (14.3), i Paesi Bassi (9.9) la Finlandia (7.3) e la Svezia (6.1). Secondo AFP, la Cina è cresciuta a dismisura dal 1978 al 2018 per quanto riguarda diversi indicatori. Innanzitutto, demografici. Da poco meno di un miliardo di persone, nel 2018 è passata a 1’286. Anche la speranza di vita è aumentata: da circa sessantacinque anni nel 1978 a 76.3 nel 2016. Il PIL, basso nel 1978 (meno di 150 miliardi) è arrivato a 12’725 miliardi di dollari quarant’anni dopo. La povertà estrema (dal 2011 a 1.9 dollari al giorno) colpiva un valore tra il sessanta e il settanta per cento della popolazione. Una cifra ridotta poi allo 0.7 per cento trentasette anni dopo.
Gli abbonamenti presso compagnie telefoniche erano attorno allo zero fino alla fine degli anni Novanta; nel 2017 si è arrivati a 104.6 ogni cento persone. Il valore aggiunto nelle manifatture industriali cinesi è aumentato: 3’730 miliardi di dollari, partendo da poche centinaia all’inizio del terzo millennio. Anche i chilometri dei tratti ferroviari sono incrementati: da cinquantamila dell’inizio degli anni Ottanta, ai 67’092 del 2016. E se i trasporti sui binari aumentano, con loro, si alza anche il traffico aereo in termini di passeggeri. Fino alla metà degli Ottanta erano poche migliaia di persone a poter viaggiare tra le nuvole; nel 2017 a prendere un aereo sono stati 551.2 milioni di cinesi. La Cina corre, cresce in tutti campi. Un monito per l’Occidente e le sue classi dirigenti.
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su L’universo)