È un saggio originale quello di Jan Zielonka, che in Democrazia miope (Laterza 2023) esamina la nozione di politica alla luce delle dimensioni di spazio e tempo. «La politica contemporanea mi fa pensare a una banda di ottoni bloccata dal traffico nel bel mezzo di una parata. I musicisti continuano a suonare mentre marciano sul posto», esordisce l’autore, preoccupato dal fatto che molti politici sono disposti a sacrificare la democrazia per il nazionalismo al fine di incrementare i voti. Il nazionalismo è tornato di moda, spiega, perché offre aiuti solo ad un piccolo gruppo di connazionali, al posto di estendere la platea. Alla base di questo fenomeno, un pessimismo generalizzato. Un tempo i padri sapevano che i figli sarebbero diventati più ricchi di loro: non è più così. Molti hanno perso la fiducia nella democrazia. L’autore addebita i malesseri sociali alla diseguaglianza.
Parla di “turbocapitalismo”, accelerato e irresponsabile. «Il futuro è sempre più cupo perché la politica democratica non si presta a maneggiare il tempo e lo spazio in modo tale da proteggere gli interessi delle generazioni future e da travalicare i confini nazionali», scrive Jan Zielonka. Che auspica uomini di Stato più responsabili e una governance efficiente. L’autore sostiene che gli Stati nazionali non rappresentano gli unici contesti per democrazia e governance. La tesi di Jan Zielonka è che occorrerebbe scomporre il potere e darlo a ONG e associazioni professionali, attori urbani e nazionali, regionali e globali. La gestione del tempo e dello spazio agli Stati è stata fallimentare, suggerisce, senza però citare gli aspetti positivi di questo fenomeno. Internet ha accelerato la globalizzazione e ha dimostrato come gli Stati siano inefficaci a gestire le crisi.
La politica influenza in nostro spazio: lo si è visto con il Covid-19 e la guerra in Ucraina. Occorre pensare un nuovo ordine al tempo e allo spazio per far fronte agli shock che hanno spinto i governi a varare decreti di emergenza e sospensioni di procedure democratiche. «La democrazia è in parte responsabile dell’incapacità degli Stati di sviluppare prospettive di lungo periodo in quanto richiede regolari cambi di governo, cosa che non solo limita la prospettiva temporale dei governi, ma li lega ai desideri dell’elettorato del momento». Dunque, «le democrazie devono recuperare il loro potere di attrazione dimostrando di essere capaci di limitare i conflitti territoriali, di fermare il cambiamento climatico e di assicurare il benessere delle generazioni future». La visione sovranista è fuorviante e pericolosa in materia di sfide del futuro e alla salute della democrazia. In questo ambito, la prospettiva xenofoba non è di aiuto.
«La libera circolazione delle idee è molto temuta dai despoti, dai tradizionalisti e dagli integralisti […]. I liberali hanno sempre sostenuto che i confini aperti generino conoscenza e profitto. […] I sovranisti di destra […] sostengono che l’apertura dei confini è un incoraggiamento per immigrati pronti a prendersi i nostri lavori […]. I sovranisti di sinistra vedono i confini aperti soprattutto come il fattore responsabile per il moltiplicarsi di ineguaglianze». Con l’incrementare dell’insicurezza incrementa pure il desiderio di protezione. Da proteggere, in ottica sovranista, è dunque il senso di appartenenza, di affinità. «I confini rappresentano istituzioni complesse che determinano i legami fra territorio, identità, autorità e diritti; se queste categorie si trasformano, devono farlo anche i confini […]. Con la perdita di importanza del territorio fisico, i confini si stanno spostando nel cyberspazio e nello spazio cosmico».
La geografia è ancora importante nonostante la globalizzazione abbia imposto una difficoltà di controllo dei flussi di persone, beni, servizi e manodopera. Jan Zielonka non esita ad abbracciare, come da template del critico del capitalismo, la tesi secondo cui occorrerebbe viaggiare di meno, lavorare meno, impegnarsi politicamente, lavorare per le comunità locali e nel “sociale”. È una posizione un po’ snob – «i cittadini sono cinici, atomizzati e incapaci di formare un fronte comune in grado di mobilitarsi per qualcosa di costruttivo». Si replicherebbe: più forte si va, più alto è il rischio di schiantarsi in un mondo targato dal capitalismo e democrazia 24/7. Ma ci si può fermare o è solo wishful thinking? Di certo, la prospettiva dei muri non sembra essere una soluzione plausibile. Salvaguardare l’interdipendenza è importante, ma essa presenta alcune grane.
«L’interdipendenza può ridurre alcuni conflitti, ma può anche crearne di nuovi. […] Dipendenza significa vulnerabilità e insicurezza, poiché non si possono governare le cose da soli […]. Naturalmente, l’interdipendenza crea incentivi a cooperare, ma talvolta la cooperazione è resa difficile dal fatto che non ci fidiamo gli uni degli altri, per retaggi storici o per asimmetrie di potere. Gli Stati spesso sfruttano l’interdipendenza per rafforzare la loro posizione negoziale […]. L’interdipendenza non risolve tutti i conflitti storici, specialmente se violenti. I conflitti etnici ne sono un buon esempio e tendono a diffondersi oltre i confini nazionali. L’interdipendenza che riguarda gli Stati non si estende a gruppi etnici omogenei […] determinati a difendere il proprio territorio “spirituale”: la loro patria». Nella società aperta, l’interdipendenza è vista come un’opportunità e condividerei la sovranità vuol dire trarre vantaggi per tutti.
«La tecnologia può aiutare o ostacolare le nostre ambizioni, può essere usata e abusata, a seconda delle nostre scelte e del nostro comportamento. Non ha senso incolpare la tecnologia dei fallimenti umani». Jan Zielonka non vuole sostituire lo Stato con le Reti, ma non è neppure contro la questione. «I network collaborano con gli Stati persino negli ambiti della difesa e della sicurezza, tradizionalmente percepiti di esclusiva competenza statale: gli eserciti nazionali dipendono oggi estesamente da militari contractors privati, che operano come network; le reti finanziarie sono essenziali per limitare la capacità bellica del nemico». I network potrebbero partecipare sempre di più nei processi decisionali, in un momento in cu la democrazia appare sempre più incerta e fragile. «Il capitalismo e la cultura dell’alta velocità non fanno altro che rafforzare la resistenza al cambiamento, perché i cambiamenti in una società ad alta velocità sono più invasivi che mai».
Conclude Jan Zielonka: «La tassa di successione non scardinerà l’ineguaglianza, ma in certi contesti potrebbe alleviarla. L’energia solare non rappresenta una panacea per il cambiamento climatico, ma è meglio scaldare le case con i pannelli solari che con il carbone o il petrolio. Persino soluzioni ambiziose come il reddito universale o l’edilizia pubblica avranno un impatto inevitabilmente limitato. Il reddito universale ci libererebbe dall’obbligo di “vendere” il nostro tempo per sopravvivere, mentre l’edilizia pubblica offrirebbe un riparo ai cittadini più poveri. Tuttavia, nessuna di queste misure offrirebbe una soluzione esaustiva alla domanda su come maneggiare spazio e tempo per il bene del pianeta e dei suoi cittadini, attuali e futuri». Infine: «Propongo di andare oltre il primato dello Stato-nazione e di dare potere ad altri attori pubblici, a livello locale e transnazionale. Dovremmo, in breve, passare da un sistema governato dagli Stati a un sistema governato dalle reti».
Amedeo Gasparini
(Pubblicato su theWise Magazine)