Hayek, Rand e il collettivismo che unisce i socialismi

Il collettivismo è la privazione dell’individualità e nella dottrina liberale è riconosciuto come uno dei principali mali sociali. La dimensione collettiva, argomentano i liberali, non prevede quella legata alla persona. Anzi: la scoraggia, la deprime e tenta di annichilirla a favore di un’entità – Stato o partito – verticale, autoreferenziale, coercitiva. Questa autorità stabilisce le preferenze individuali: conosce tutte le informazioni e i bisogni della persona. Non ha bisogno di consultare l’individuo o di conoscerne la dimensione singola, ma agisce come se tutti gli individui fossero identici. Rendere tutti uguali e sottomessi era era l’obiettivo di tutti i socialismi del secolo scorso. Dal Nazismo al Fascismo, dal Socialismo al Comunismo, tutti i movimenti totalitari sono collegati da un fil rouge. Cioè annichilire l’individuo, riversarlo nella dimensione collettiva, togliergli identità e dignità. Dagli anni Quarata, gruppi intellettuali anticollettivisti hanno tentato di riportare la libertà e l’unicità della persona al centro dell’attenzione politica.

Friedrich von Hayek e Ayn Rand si sono dedicati molto al rigetto del collettivismo. Questi, spiega Rand (Capitalism: The Unknown Ideal) «non predica il sacrificio come mezzo temporaneo per qualche fine desiderabile. Il sacrificio è il suo fine». La dimensione collettivista è contro l’indipendenza dell’uomo, il suo successo, la sua prosperità e la sua felicità, argomenta Rand. Il collettivismo sostiene che l’individuo non ha diritti e che il frutto del suo operato appartiene al gruppo. Il gruppo, poi. «può sacrificarlo come suo capriccio ai propri interessi». Va da sé che «l’unico modo per attuare una dottrina di questo tipo è con la forza bruta», continua Rand (The Virtue of Selfhishness). E non è un caso che tutti i socialismi nel perseguire il collettivismo abbiano fatto largo uso della violenza. Nell’ottica collettivista anti-individualista, all’uno pensano i molti, ma non per benevolenza, quanto per volontà di controllo.

In prospettiva liberale si parla di collettivismo come una dimensione che unisce tutti i socialismi e le ideologie simil-religiose e gregarie. Il conservatore Giovannino Guareschi scrisse a proposito di una terza narice che facesse entrare in corpo il pensiero del partito. Questa, «non è una prerogativa dei comunisti, ma di tutti coloro che rinunciano a pensare con la propria testa a favore delle direttive del partito». Si applica a chi crede nel collettivismo e svilisce la dimensione individuale. La terza narice serve a far arrivare al cervello le direttive del partito. Il collettivismo è un invito a non pensare. A ripetere dogmi inneggianti alla pluralità rispetto che all’individuo. In The Road to Serfdom, Hayek gettò le basi per accumunare il Socialismo al Fascismo sotto la campana del collettivismo. Hayek spiegò che nella società la battaglia è tra la libertà e la schiavitù.

Tra rispetto dell’individuo e aggregazione collettivista. Soprattutto puntò il dito contro il paternalismo repressivo del Partito o dello Stato, dell’odio sociale e di classe. Aspetti, questi, che appartengono a tutti i socialismi che usano il collettivismo come elemento di aggregazione e controllo sociale. I collettivisti ammirano la violenza e la giustificano in base ai voleri della massa. Non è un caso che disprezzino l’impresa privata. Ci sono collettivisti di spada (più grezzi – il manganello dei fascisti) e di toga (più raffinati – l’egemonia culturale dei comunisti). Mario Vargas Llosa (Il richiamo della tribù) ha spiegato che per Hayek «soltanto l’individualismo, la proprietà privata e il capitalismo di mercato garantiscono la libertà politica. Il processo inverso conduce, prima o poi, al fallimento economico, alla dittatura e al totalitarismo». Lo scrittore peruviano ricorda il coraggio di Hayek nel teorizzare durante l’ascesa dei totalitarismi una sostanziale uguaglianza tra Comunismo, Socialismo e Nazismo.

Hayek sovrappose le filosofie totalitarie. Stabilì che entrambi erano per il dirigismo economico e la pianificazione. Dunque, la scomparsa dell’individuo e dell’individualismo. Rand era d’altra parte più esplicita nel formulare il collettivismo come ponte tra socialismi di destra e sinistra. «Il Socialismo può essere stabilito con la forza, come nell’URSS – o con il voto, come nella Germania nazista (nazionalsocialista)» (The Virtue of Selfishness). La scrittrice definì il Socialismo come «una teoria o un sistema di organizzazione sociale che sostiene l’attribuzione della proprietà e del controllo dei mezzi di produzione, del capitale come della terra, ecc. alla comunità nel suo insieme» (Capitalism: The Unknown Ideal). Da una parte, il Socialismo «sostiene l’attribuzione della proprietà e del controllo alla comunità nel suo insieme […] allo Stato». Dall’altra, il Fascismo «lascia la proprietà nelle mani degli individui privati, ma trasferisce il controllo della proprietà al governo» (ibid.).

«La proprietà senza controllo è una contraddizione in termini. […] In questo senso, il Socialismo è la più onesta delle due teorie. Dico “più onesta”, non “migliore”». Infatti, «entrambe provengono dallo stesso principio collettivista-statalista, […] negano i diritti individuali e subordinano l’individuo al collettivo, […] consegnano il sostentamento e la vita dei cittadini al potere di un governo onnipotente» (ibid.). Rand scrisse a proposito di una dittatura dei ricchi (Fascismo) o una dittatura dei poveri (Comunismo). Ma pur sempre una dittatura. «Fascismo e Comunismo non sono due opposti, ma due bande rivali che si contendono lo stesso territorio». Entrambi «sono varianti dello statalismo, basate sul principio collettivista che l’uomo è uno schiavo» (ibid.). E «il Fascismo non è il prodotto della “destra” politica, ma della “sinistra”» (ibid.). In altri termini, capitalismo contro Socialismo. Individualismo contro collettivismo.

I socialismi di destra e di sinistra trovano terreno comune nel collettivismo anche nella loro ferma opposizione nei confronti del liberalismo. Fascismo e Comunismo non sono accomunati solo dal collettivismo, ma dall’astio nei confronti della società aperta e del mercato. Del liberalismo, appunto. Liberalismo sia a livello filosofico, che politico, che economico. È naturale che quest’ultimo sia il grande nemico del collettivismo dal momento che mette l’accento sull’individuo. Oltre all’opposizione al liberalismo, c’è anche l’uso della violenza. Scrive Madeleine Albright (Fascism. A Warning): «Ciò che rende un movimento fascista non è l’ideologia ma la volontà di fare qualsiasi cosa sia necessaria – compreso l’uso della forza e il calpestare i diritti degli altri – per ottenere la vittoria e comandare l’obbedienza». Alla voce “Fascismo” sulla Treccani emerge una citazione di Benito Mussolini.

Il Duce spiegò che il liberalismo classico «sorse dal bisogno di reagire all’assolutismo e ha esaurito la sua funzione storica da quando lo stato si è trasformato nella stessa coscienza e volontà popolare». Inoltre, la «sola libertà che possa essere una cosa seria [è] la libertà dello Stato». Lo Stato che decide, fa e disfa è l’operazionalizzazione del collettivismo in ambito sociale. Il dirigismo che annienta l’iniziativa individuale. Non è un caso che Hayek temesse il piano dirigista e Rand definisse il capitalismo unico sistema per creare ricchezza. Tutti i socialisti, tutti i nazisti, i comunisti e i fascisti aborrano il liberalismo e promuovono il collettivismo. Il vero avversario del socialismo è il liberalismo – quello del collettivismo è l’individualismo. Alberto Mingardi (La verità, vi prego, sul neoliberismo) ha scritto di una tendenza contemporanea come «ricerca affannosa di qualcosa da mettere “prima degli egoismi individuali”, ovvero prima delle persone».

Continua: «La divisione politica oggi è fra quelli che non si perdono di non aver ridistribuito abbastanza, e quelli che vogliono distribuire di più […]; non c’è nessuno che si metta dalla parte del singolo individuo, non come parte di un gruppo, non come donna, immigrato, disoccupato, negoziante, insegnante, impiegato pubblico, contribuente, ma come persona». Il collettivismo, che è l’anticamera del totalitarismo, disprezza l’individuo. Per sua natura, è distributivo, clientelare, basato sull’odio di classe. Come ai tempi di Hayek e di Rand, ancora oggi, la vera grande sfida è ancora tra libertà e schiavitù. Tra libertà e collettivismo, tra liberalismo e socialismo. Cambiano i nomi, le facce. Restano le idee. Restano l’individuo e la sua proprietà.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su Immoderati)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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