Populismo odierno, tra bugie e paura

Uno degli obiettivi dell’ultimo libro di Alessandro Barbano, Le dieci bugie. Buone ragioni per combattere il populismo (Mondadori 2019) è quello di suggerire al lettore una serie di metodi per riconoscere e disinnescare la «malattia della politica». Quell’odierno populismo che ha infettato il modo di condurre la politica da parte di parecchi partiti da diversi anni. Critici sono i livelli che un movimento demagogico raggiunge nell’obiettivo di acquisire il consenso popolare alle vette dell’architettura statale, tramite la semplificazione del discorso, la manomissione di concetti controversi, l’individuazione di un capro espiatorio, il solleticare gli istinti più rozzi e la normalizzazione delle anomalie. L’espansione del populismo odierno in Europa, secondo Barbano, ha origine nello slittamento valoriale dell’ordine democratico e liberale che ha guidato il Vecchio Continente per secoli.

Jean-François Revel scriveva che «una cultura entra in decadenza quando, consistendo solo in lodi che rivolge a se stessa, si esalta denigrando le altre culture». Una cultura che non è più guida nella società, non è più tale. Quindi la degenerazione, politica e non solo, è prossima. Nei momenti di crisi della forma “partito” come tradizionale incanalatore di consenso, è stato il “dirittismo” ad assumere sempre più importanza nelle società occidentali «verso un’espansione illimitata dei diritti». Il “dirittismo” è «l’espansione dei diritti svincolati dalle responsabilità, che affligge le società occidentali». Una «forma di una febbre parassitaria della globalizzazione». Il populismo odierno «lucra sulle diseguaglianze dei mercati aperti, semina odio nei confronti del multiculturalismo, sfida la secolarizzazione con le sue patacche identitarie».

Esso, inoltre, «oppone il nazionalismo alla rigida governance finanziaria di un’Europa divisa tra Nord e Sud, semina l’invidia nella classe media impoverita, inietta nella società intera il virus dell’analfabetismo funzionale e cognitivo». Parole dure quelle di Barbano, preoccupato dalla banalizzazione del discorso politico. Sebbene siano tanti gli strumenti che i movimenti populistici adottano per assicurarsi in consenso, Barbano si limita ad individuarne alcuni. Tra questi, l’esaltazione del popolo come fonte unica di legittimazione del potere, l’abiura delle élite, la relazione diretta con la leadership carismatica, il consenso come misura dell’azione politica, il sentimento antindustriale. Non da ultima, l’invettiva moralista: la grande scomunica. Una delle facce del moralismo è anche il pessimismo: un sentimento sociale su cui far leva per alimentare il consenso, grazie alle nuove tecnologie.

Di cui, i nuovi stregoni della politica conoscono segreti e maledizioni. Agli occhi del popolo della Rete che segue il grande leader – il “Super-Io” – un Tweet vale più di mille comizi da in piazza. I governi populisti propongono tradizionalmente la vecchia e inefficace ricetta dell’assistenzialismo. E lo fanno «mediante una politica economica espansiva, incurante dei vincoli europei», incapace di generare crescita, che crea debito su debito. «Il disavanzo attiva nuovo indebitamento, […] scatena nei mercati la paura che le dimensioni del debito […] diventino insostenibili». E a proposito di paura, «il populismo non ha alcun interesse a divedere la paura […]. L’emergenza è assunta in forma simbolica». Il populismo odierno trasforma la vita politica in una scelta radicale mediante l’istigazione della paura: o ci si schiera da una parte oppure dall’altra. Bianco o nero: non esiste il grigio.

Tutto è basato «su un discorso fondamentalmente dicotomico: pro o contro, bene o male, sì o no, amico o nemico, loro o noi. Per i populisti non esistono problemi complicati, ma unicamente soluzioni semplici, facili da attuare», come hanno sottolineato Ilvo Diamanti e Marc Lazar (Popolocrazia). Il cosiddetto popolo viene corteggiato dai movimenti demagogici. Il cui successo è dovuto anche al fatto che il cambiamento socioeconomico dell’ultimo decennio fa, semplicemente, paura. «Frustrazione e rabbia», ha scritto Maurizio Ferrera (Corriere della Sera, 18 febbraio 2019), «hanno cercato sollievo nella nostalgia di un passato più sicuro. Oppure nella ricerca di un futuro radicalmente diverso, costi quello che costi». Da qui il rifugio verso le proprie “sicurezze”: lo Stato, l’accusa verso il prossimo, l’odio di classe. La paura di cambiare e la disponibilità ad ascoltare le istanze demagogiche.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su L’Osservatore)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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