Imperialismo e collettivismo: l’hitlerizzazione di Putin

Vladimir Putin compie settant’anni. Gli auguri sarebbero stati più numerosi da parte della comunità internazionale se il 24 febbraio scorso non avesse optato per la sua hitlerizzazione: trasformarsi, cioè, da dittatore a criminale di guerra. Con l’invasione dell’Ucraina Putin ha compiuto un salto di qualità, per così dire, nella scala degli autocrati, posizionandosi al pari di chi un tempo aggredì le democrazie vicine e ha compiuto crimini contro l’umanità. L’Hitlerismo non è solo la messa a punto di un sistema scientifico di eliminazione della vita umana, con i campi di concentramento e di sterminio. È anche l’aggressione violenta nei confronti dei deboli, la riscrittura arbitraria della Storia e dei confini con il sangue e la forza. È menzogna; nazionalismo spinto che nutre un’identità costruita ad arte e la volontà di sottomettere i popoli ritenuti inferiori.

L’Hitlerismo è razzismo, collettivismo, socialismo economico, nazionalismo identitario, populismo autoritario e statalismo corrotto. Tutti ingredienti fatti propri da Putin e implementati sulla pelle degli ucraini – il “popolo fratello”. L’attacco all’Ucraina s’inserisce in un preciso disegno neocoloniale e neo-egemonico dello zar. L’autocrazia elettiva russa, con un’economia allo sfascio, una demografia stagnante, infrastrutture e istituzioni malconce, non poteva vedere di buon occhio un paese vicino che rappresentava, con tutti i limiti, il suo contrario. Negli anni, l’Ucraina si era difatti messa in cammino per raggiungere l’Occidente e l’UE – non la NATO. Seppure con acciacchi e disordini vari, era una democrazia che guardava ad Ovest; non ad Est. Il che era intollerabile per Putin. «L’orgoglio di chi non può costruire è distruggere», frase attribuita ad Alexandre Dumas padre, calza a pennello con i complessi e i timori di Putin.

Secondo Ivan Krastev e Stephen Holmes (La rivolta antiliberale) «Putin non sta attaccando l’ordine mondiale creato dagli americani in nome di un’ideologia o di un’organizzazione alternativa. A differenza del comunismo, l’autoritarismo non è un’ideologia. È semplicemente una forma di governo che può essere ospitato in sistemi ideologici diversi. Putin sta quindi attaccando le democrazie liberali senza alcuna ambizione di trasformarli in stati autoritari sul modello russo. Attacca l’ordine liberale internazionale per ragioni pedagogiche, per dare una lezione all’Occidente, per rivelarne le ipocrisie, la vulnerabilità latente e per rendere ancora più deboli i suoi difensori». Al pari dei dittatori del passato, Putin vede la geopolitica come uno scontro tra un collettivismo nazionalista e un liberalismo democratico, tra Stati come Russia e Cina – autoritari, nazionalisti, statalisti – e Stati liberali – come gli Stati Uniti o gli Stati europei. Nell’accumulo del potere e nell’espansione territoriale, è la Russia che deve prevalere.

Tutto questo anche a prezzo di sbarazzarsi del relativo benessere conquistato dopo il 1991. Putin non si è trasformato in criminale di guerra da un giorno all’altro. Tuttavia, l’invasione dell’Ucraina segna uno spartiacque, come lo fece la conferenza di Monaco nel 1938 per la Germania nazista. Se la questione della Crimea nel 2014 è stata considerata dalla comunità internazionale un episodio minore, l’attacco all’Ucraina ha imposto al Cremlino di gettare la maschera rispetto alle proprie mire espansionistiche. Per capire Putin sono fondamentali due personaggi della storia russa. Il primo, Ivan Ilyin, era un leader mistico che predicava metodi violenti contro la rivoluzione bolscevica e che vide in Benito Mussolini la soluzione al decadimento dell’Occidente e in Adolf Hitler il difensore della civiltà europea. Timothy Snyder (The Road to Unfreedom) ricorda che secondo Ilyin è necessaria la soppressione dell’individuo a favore di un’ideologia propugnata dallo Stato.

Ilyin è il costante punto di riferimento per Putin nel suo progetto di ridisegno dello Stato e dell’ordine mondiale. Lo smantellamento delle istituzioni democratiche, sia interne che esterne alla Russia, è parte del programma di Ilyin. E Putin lo sta seguendo alla lettera. Distruggere le istituzioni e le nazioni, destabilizzarle. Dunque, apparire più forti. Il secondo personaggio della Storia russa a cui Putin si ispira è Pietro il Grande, che fu l’ideatore e forgiatore dell’assolutismo russo. Lo zar costruì la capitale a San Pietroburgo e confiscò il potere all’aristocrazia, i cosiddetti boiardi, creando uno Stato moderno, nonché un esercito comune, nazionale. Come fece Enrico VIII, Pietro il Grande centralizzò la chiesa nelle sue mani e assunse tutti i poteri in Russia tramite la centralizzazione. Un modello nazionalista a cui Putin si è ispirato ben prima dell’attacco all’Ucraina.

Nazionalismo fa rima con Fascismo, dunque collettivismo, in cui la violenza del più forte nega l’esistenza di un ordine liberale e pacifico, di un acquis basato sul rispetto delle regole e tra popoli e nazioni. Il progetto di Putin passa dallo smantellamento di questo ordine, la primazia della Russia e dei territori che il Cremlino arbitrariamente intende annettere e conduce all’elevazione di un sistema nazionalistico e autocratico. Un progetto simile a quello della Germania nazista. L’invasione di una nazione contigua con la scusa di dover riunire sotto la medesima entità statale un popolo presuntamente legato da legami storici ricorda l’annessione del Terzo Reich delle terre dei Sudeti, dunque l’inglobamento di Boemia e Moravia nel marzo 1939. Alla stessa maniera, la Crimea è stata assorbita dalla Russia con falsi referendum, ricatti, pressioni militari nel 2014, fino all’invasione del 24 febbraio.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su AlterThink)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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