Arte, memoria e cinema come sopravvivenza a Terezín

Di solito si pensa che i luoghi della memoria debbano essere preservati al meglio. Da una parte, questi rappresentano un ricordo e un monito perché certe tragedie non si ripetano. Dall’altra costituiscono un atto di rispetto per le vittime. Non è questo il caso di Terezín, la città fortezza nel distretto di Litoměřice, a settanta chilometri da Praga, nota per essere stata trasformata dai nazisti in ghetto per gli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Oggi, il complesso più esteso della fortezza si trova in condizioni fatiscenti. Come non ricordare, a questo proposito, “i bambini di Terezín”, i cui disegni – prima colorati, poi sempre più cupi e scuri, man mano che la tragedia si avvicinava – sono esposti nel museo ebraico nella Città Vecchia di Praga? Nell’epoca del negazionismo spinto, dell’antisemitismo sottile, del complottismo sfrenato, la degradazione materiale del complesso di Terezín rischia di erodere la memoria legata al ghetto.

Il ghetto fu un luogo di transito dove passarono centocinquantamila ebrei e trentacinquemila vi morirono. Il complesso nacque come fortezza asburgica a fine Settecento. È qui che venne imprigionato e morì nel 1918 Gavrilo Princip, che a Sarajevo aveva sparato a Francesco Ferdinando e consorte, scatenando la Prima Guerra Mondiale. Con l’occupazione nazista del 1939, Terezín venne trasformata del centro di “risoluzione del problema ebraico” di Boemia e Moravia. In un documento audiovisivo del 1944, i nazisti raffigurarono Terezín come un luogo dove gli ebrei vivevano un’esistenza pacifica, tra cultura e sport. Nell’estate di quell’anno la Croce Rossa mandò una commissione per verificare le condizioni dei prigionieri e cadde nell’inganno. Prima dell’arrivo della delegazione, il campo era stato rassettato per bene.

Un film di propaganda mostrava i prigionieri giocare a pallone nel ghetto, prima che venissero spediti nelle camere a gas di Auschwitz. Molti morirono anche a Terezín tra malattie e malnutrizione. Qui oggi sorge un museo per ricordare gli orrori del ghetto, ma tutt’attorno è un susseguirsi di finestre rotte, tetti crollati, ciottoli coperti d’erba, intonaci decadenti, buche nei cortili, tegole che si staccano dai tetti. Un’atmosfera da cimitero abbandonato. È frustrante arrivare qui e rendersi conto di persona di questa situazione. Perché Terezín è il luogo che testimonia l’orrore nazista: e senza prove, senza testimonianze, qualcuno potrebbe persino pensare che l’Olocausto non ci sia mai stato. Proprio qui il regista italiano Gabriele Guidi ha iniziato le riprese del suo film d’esordio, “Le Terme di Terezin”. La pellicola, la cui uscita è prevista nella primavera del 2022, intende raccontare un lato inedito della vita trascorsa lì dentro dai deportati ebrei.

Fra i quali c’erano una serie di artisti e creativi, molti compositori, pittori, poeti, scultori, scrittori: il cuore e l’anima della cultura centroeuropea di quegli anni. Il film si focalizza sul clarinettista Antonio e su un gruppo di musicisti. Fra gli attori Mauro Conte, Dominika Morávková, Alessio Boni, Cesare Bocci, Antónia Lišková, Jan Revai, Bořek Slezáček e Marián Mitaš. Una produzione internazionale che coinvolge Minerva Pictures, Rai Cinema e la ceca Three Brothers Production. «La genesi del progetto», racconta Guidi, «nacque diversi anni fa, quando parlando con orchestrali e musicisti di varia importanza mi resi conto di quante composizioni musicali di alto valore sono nate in quegli anni all’interno di Terezín». Il film narra la storia di Antonio, figlio di padre ateo e di madre cattolica, che negli anni Trenta è a Praga per diventare parte della grande orchestra dell’Europa centrale. Qui incontra Martina, violinista di famiglia ebraica.

I due iniziano a frequentarsi, ma nel 1941 vengono catturati e mandati a Terezín. Divisi al loro arrivo, malgrado le molte difficoltà Antonio riesce a districarsi nel portare avanti la sua passione musicale. Martina si sente in colpa per il destino in cui è caduto il ragazzo. Fosse rimasto in Italia, pensa, non sarebbe mai arrivato nel campo di prigionia. «Un italiano che sia entrato a Terezín e poi ne sia uscito fine della guerra – come è il caso del nostro protagonista – in realtà non c’è mai stato», racconta Guidi. «Antonio è il nostro espediente narrativo. Egli è il veicolo che ci permette di entrare nel ghetto e scoprire personaggi che nel novantanove per cento dei casi, loro sì, sono realmente esistiti». Nel film di Guidi, la fiction si mischia alla realtà. Nonostante le umiliazioni inferte dagli aguzzini, i due protagonisti riusciranno nel ghetto a coltivare la speranza.

Qui la musica assume una funzione sia consolatoria sia di resistenza a Terezín. «Letteratura, musica, disegno, grafica, recitazione, teatro possono diventare uno strumento di sopravvivenza. E anche attraverso queste attività che gli artisti del ghetto hanno trovato una ragione di resistere e andare avanti». La storia dell’Olocausto rimane sullo sfondo del film e influisce sui flussi della narrazione, in una pellicola orientata verso l’arte. «Dalla musica ai disegni dei bambini. Abbiamo dato voce ai personaggi che semplificano le vicende del luogo – dai tre comandanti del ghetto ai tre responsabili del consiglio ebraico. Negli anni, abbiamo sentito testimonianze dirette e letto decine di libri su Terezín». Una delle peculiarità del ghetto boemo è che «nel ghetto erano radunate un insieme di eccellenze artistiche straordinarie. A queste venne concessa gradualmente la possibilità di esprimere la propria arte».

Difatti, «da un lato, il contatto tra artisti ha generato delle opere che ancora oggi sono rappresentate in tutto il mondo. Dall’altro, la loro iperattività artistica diventò uno strumento di sopravvivenza che consentì loro di distrarsi e trovare un metodo di sopravvivere in condizioni catastrofiche». Proprio per onorare artisti e gente comune di Terezín, preservare l’interezza del complesso concentrazionario è importante. Così come lo è rinvigorire la memoria legata al luogo dove avvenne la segregazione e l’omicidio di migliaia di persone. «La parte bassa della fortezza, quella turistica, è impeccabile, ma nel processo di ristrutturazione diversi luoghi del grande complesso di Terezín sono rimasti più indietro di altri», riconosce Guidi. Si spera che questo film possa contribuire a sensibilizzare sulla necessità di conservazione di un monumento così importante. L’arte preserva la memoria e aiuta a sopravvivere in condizioni drammatiche.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su Progetto Repubblica Ceca)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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