Tutte le nostre ipocrisie raccolte da Giuseppe Culicchia

Molto spiritoso E finsero felici e contenti. Dizionario delle nostre ipocrisie (Feltrinelli 2020), l’ultimo libro di Giuseppe Culicchia. Tra sarcasmo e ironia tagliente, l’autore ripercorre in sezioni tematiche tutti quei piccoli-grandi compromessi, luoghi comuni, stereotipi e ipocrisie che ci riempiono la vita. «Siamo diventati tutti attori e storyteller», spiega Culicchia, che esplora le nostre ostentazioni, i politicamente corretto, le pigrizie, le finzioni che mettiamo in scena ogni giorno. Culicchia parte dal corpo. Prima voce: ALITOSI, «sui social per fortuna non la si nota». Poi il CANCRO, non il segno zodiacale, ma la malattia spesso definita come “male incurabile”. Poi CICCIA, «ironizzare per anni di quella di Giuliano Ferrara e di Mario Adinolfi, definendoli “ciccioni”. Stigmatizzare però gli odiatori del web che fanno lo stesso con Michela Murgia».

Dunque, la voce OBESI: «sbeffeggiare gli obesi di destra è lecito. Ricordarsi però di stigmatizzare chi sbeffeggia una donna, soprattutto di sinistra». VACCINI, «la ragione di vita dei No vax: che senza di essi non esisterebbero». Passiamo dunque alla “razza”, tema sensibile. Giustamente, riferisce Culicchia, si condanna Giorgio Almirante – già segretario della rivista La difesa della razza, edita tra il 1938 al 1943 –, ma meno citati in questo contesto sono Amintore Fanfani e Giorgio Bocca. Quest’ultimo in gioventù scriveva a proposito di complotti ebraici per la conquista del mondo a partire dai Protocolli dei Savi di Sion. «Quanto al famoso “Italiani brave gente”, ce lo siamo sempre detto tra noi»: nel capitolo anche le parole CLANDESTINI «dire sempre “siamo tutti clandestini”.

Cercare di ricordarselo pure in spiaggia»), EXTRACOMUNITARI (definizione obsoleta, sostituita da “migranti”), IRREGOLARI («chiedersi se il mondo ideale, privo di frontiere e anche di documenti d’identità, non si scontri con il mondo reale»), NAPOLETANI («sottolineare che non tutti sono camorristi»). Chiunque faccia uso di questi vocaboli è «naturalmente un razzista, sovranista, leghista, dunque un fascista», ironizza Culicchia. Non può mancare un capitolo su sesso e sessismo. Pazienza se esiste già la parola “madrepatria”, Murgia propose di sostituire la parola “patria” con “matria”, dunque “manager” con “womager”. ASTERISCO, «lo si deve obbligatoriamente usare come segno grafico per mostrare a tutti che si è di sinistra e che dunque, rispettando le minoranze le differenze, non si è razzist* sovranist* leghist* e tantomeno fascist* […]. Portare a esempio una frase come: “Car* compagn*”, che pronunciata diventa “Carasterisco compagnasterisco”».

CHECCHE, «non esistono più: sono state sostituite dai gay. Chi usa ancora questo termine e a seconda dei casi è un fascista oppure un froc …, pardon, un gay autorizzato a chiamare così amici e fidanzati». DOLCE&GABBANA, «dichiaratamente gay, sono stati crocifissi e boicottati da molti gay quando hanno dichiarato di non approvare le adozioni gay». GAY PRIDE, «se dichiarate in pubblico che secondo voi il gay pride è una carnevalata […] siete intimamente fascisti. Se criticate il gay pride da omosessuali perché secondo voi non è di alcun aiuto per gli omosessuali, siete intimamente fascisti. Insomma: il gay pride è un potentissimo rivelatore di fascisti». Quanto ai MASCHI, «andrebbero aboliti, specie se bianchi occidentali […]. Quelli cosiddetti Alfa incarnano il Male Assoluto di tutte le sofferenze patite dall’Umanità nel corso dei secoli». Va da sé che quindi PERVERTITI «lo sono in generale tutti i maschi, specie se bianchi occidentali».

Quella contro il politicamente corretto per Culicchia è una missione. Il capitolo dedicato alla famiglia parte dalla FESTA DEL PAPÀ («denominarla d’ora in poi Festa del Genitore 1»), per passare ai FIGLI («compito dei Genitori 1&2 è assecondare ogni richiesta»). In famiglia, non è contemplabile alcun tipo di SEVERITÀ, «semplicemente inconcepibile, visto e considerato che bisogna innanzitutto mostrarsi comprensivi». Di seguito un capitoletto sulla religione. Si parte dal Dalai Lama, «conferirgli la cittadinanza onoraria consente al sindaco della città conferente di apparire in tv […]. In Parlamento, riceverlo in stanze non di rappresentanze per evitare ritorsioni commerciali da parte del governo cinese». INTEGRALISTI, «sono solo ed esclusivamente islamici. […] Specificare: “si tratta di pericolosi integralisti”, aggiungere: “ma questo non significa che tutti gli arabi integralisti”».

A questo proposito, stigmatizzare Michel Houellebecq, «anche se a dire il vero non lo si è letto». Quanto al PRESEPE, a scuola è importante dire sempre: «Abbiamo ritenuto più opportuno non farlo, per non offendere i bambini di altre religioni». Televisione. Culicchia parte dalla trasmissione “Amici” («sostenere in pubblico di non averne mai vista una puntata, ma sapere tutto sulle vicende dei suoi protagonisti»). Poi passa alla conduttrice, Maria De Filippi («la donna più potente della tv. Sostenere di non guardare i suoi programmi. Se invitati, andarci») per arrivare alle reti MEDIASET («in campagna elettorale, affermare da sinistra di voler risolvere una volta per tutte il conflitto di interessi. Poi, una volta arrivati […] al potere, non farlo»). Sempre nell’ambito dei personaggi televisivi e politica, Culicchia definisce Marco Travaglio come «il solo essere vivente in Italia che in pubblico possa dichiararsi di destra senza beccarsi automaticamente del fascista».

DESTRA, infatti, in Italia «è sinonimo di Fascismo»; dunque, REGIME, da evocare «ogni qual volta la destra al governo». Culicchia analizza anche diversi personaggi. Friedrich Nietzsche («un nazista»), Hans Asperger («evitare di definire “sindrome di Asperger” la sindrome di Asperger perché Asperger, pur avendo scoperto la sindrome, era nazista»), Ernst Nolte («colpevole fondamentalmente di aver scritto che i lager vennero dopo i gulag»), Pier Paolo Pasolini («chiedersi se certi suoi comportamenti privati implichino il rigettarle dell’opera», ma ad ogni modo «non aver capito niente di Pasolini e in particolare del suo articolo pubblicato dal Corriere della Sera il 24 giugno 1974 intitolato “Il vero fascismo e il vero antifascismo”»).

Culicchia continua con Silvio Berlusconi («in fin dei conti, il presidente del Consiglio meno ipocrita nella Storia della Repubblica Italiana»). Scrive anche di Beppe Grillo («ironizzare sul fatto che un comico sia o sia stato a capo di un movimento politico. Evitare di chiedersi non solo se sia un segno dei tempi, ma soprattutto se non ci sia una qualche corresponsabilità») e Giampaolo Pansa (attaccarlo pure da defunto per i suoi libri revisionisti). Con riferimento all’autore de Il sangue dei vinti, questi s’incastra bene la voce PARTIGIANI: «chiunque metta in discussione non la resistenza ma la retorica della resistenza, e dunque l’eroismo ineguagliabile la purezza indiscutibile e assoluta infallibilità dei partigiani, è un revisionista, ovvero un fascista».

Ricordare sempre il canto “Bella Ciao” («va cantata non solo il 25 Aprile quando la sinistra perde le elezioni o al concerto del Primo Maggio. […] Chi non la canta è, va da sé, un fascista». Ironizza Culicchia: «ribadire da settantacinque anni l’imminenza del ritorno del Fascismo. […] Scandire per decenni: “Compagni! siamo qui per rispondere con determinazione questa ennesima provocazione fascista!” Chiarire: “Io con i fascisti non parlo”. Ribadire a scanso di equivoci: “Fuori i fascisti dall’università”». Tra Fascismo e dintorni Culicchia propone anche la voce FOIBE: «se proprio si è costretti a citarle, rimarcare che comunque il numero delle vittime è stato gonfiato dalla destra, […] che comunque vanno “contestualizzate”». Fascista è un insulto multifunzionale, adattabile a vari contesti – voce ABORTO, «chi è contro è un fascista».

FEMMINICIDIO («chiedersi se […] usare “gaycidio”, “lgbtqicidio”, “migranticidio”, “diversamenteabilicidio”»), e ancora VIOLENZE («dare del fascista a chi ha citato lo stupro compiuto da un migrante. Infine, sbottare: “ma lei lo sa o non lo sa che la maggior parte delle violenze avvengono in famiglia?”»). Culicchia mette a nudo il linguaggio del politicamente corretto, gli slogan recitati a nastro per attaccare l’avversario politico senza entrare nel merito delle posizioni, le contraddizioni delle nostre abitudini sociali. Verrebbe da piangere, leggendo la sua opera goliardica, se d’altra parte non si anteponesse una risata ai vizi verbali, alle incoerenze linguistiche, all’intenzione di voler sempre fare bella figura di fronte agli altri.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su La Voce di New York)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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