Decadenza e fin de siècle: l’epoca di Egon Schiele

Chissà quali altre sorprese avrebbe riservato Egon Schiele, il tormentato pittore austriaco allievo di Gustav Klimt, artista poliedrico e controverso nella decadente società di fin de siècle dell’Impero Austroungarico. Violenza su tela, contorsione delle forme, irrequietezza del tratto. Erano questi i principali elementi espressivi che il giovane Schiele, morto il 31 ottobre 1918 a ventott’anni, rappresentava nella “sua” nella Vienna imperiale, tra bordelli, caffè, atelier, gallerie d’arte. Schiele intendeva dare un contributo artistico nel cuore dell’impero asburgico. Non si può capire la sua arte se non lo si inquadra nel periodo in cui egli ha vissuto. L’artista s’inseriva nell’epoca dell’Espressionismo. Mise su tela il disagio psicologico dell’essere umano, la repressione-espansione dell’erotismo, la violenza-celebrazione del corpo, la soppressione-tripudio dell’anima, tra Estetismo ed Ermetismo. Il suo pennello eruttava i sentimenti del momento.

Ma anche i tormenti della vita, i disagi di una società che stava sprofondando nel disastro di un conflitto intraeuropeo senza precedenti. Capitale dell’Europa Centrale d’inizio ventesimo secolo, Vienna era la sede dell’attivismo intellettuale di poeti e scrittori, artisti e psicologi che s’incontravano nei gran cafè. Al tempo, molti pittori si ribellarono ai canoni artistici dell’epoca. Si liberarono dalle influenze romantiche e crearono il loro stile pittorico. D’altra parte, il clima artistico-intellettuale dell’Europa Centrale era idoneo a dibattiti culturali ed esperimenti estetici. Il tema del momento era l’introspezione umana. Esaminata da Franz Kafka nei diari, incastonata da Oscar Wilde nelle poesie, narrata da Gabriele D’Annunzio nei romanzi, dipinta da Edvard Munch su tela, analizzata da Sigmund Freud nella psicanalisi. Ispirato a tratti da Vincent Van Gogh, Egon Schiele manifestò la sua arte visiva attraverso temi inusuali quali la sessualità e le trasformazioni sessuali.

Pennellò macabro erotismo, rappresentò indecenza pornografica e nudismo solitario. Corrose forme, evidenziò fragilità e imperfezioni del corpo, tra malattie e animalesche ossessioni, perversioni oltraggiose e crudi disturbi della personalità. Spietato nel rappresentare seni e genitali, Schiele fece scalpore nel regno cattolico e bigotto di Francesco Giuseppe, a cavallo tra Vienna e Praga. Nell’opera schieliana il corpo umano è corrotto dal sentimento, macinato dalla malinconia, martoriato da luci ed ombre. L’idea del movimento del corpo e delle flessioni delle giunture derivava dall’essere nato nella miseria erosiva di Tulln, da madre ceca e padre autoritario e ubriacone. Lewis Crofts lo definì “il pornografo di Vienna”, ma sarebbe scorretto definire Schiele come un volgare artista da strada. Anticonformista e disprezzato da molti colleghi, Schiele faceva avanti e indietro da Austria e Boemia, nel cuore di un impero che non tollerava le stramberie di un giovane scostumato.

Lasciato l’ovile con la sorella Gertrude Schiele, che fu modella delle sue prime opere, nel 1906 il pittore venne accolto all’Accademia delle Belle Arti di Vienna. Qui, due anni dopo, il suo compatriota Adolf Hitler avrebbe fatto richiesta di ammissione senza successo. Il professore che impedì l’accesso all’istituto al futuro Führer, Christian Griepenkerl, era lo stesso che ammise Schiele. Uscito dall’Accademia, di mostre Schiele ne fece diverse. Da Zurigo a Vienna a Dresda; tra gli ospiti illustri, anche l’erede al trono asburgico, l’arciduca Francesco Ferdinando. Poi il grande incontro: nel 1911 Wally Neuzil, Valerie, ex modella di Klimt, divenne la sua musa preferita. Insieme si trasferirono a Krumau, nel Sud della Boemia, villaggio natale della madre di Schiele, ma i due furono presto cacciati dai residenti che disapprovavano il loro stile di vita. L’ultima compagna di Schiele fu Edith Harms, poi sua moglie e considerata più socialmente accettabile di Wally.

Con la quale il pittore continuava a intrattenere una storia amorosa, fino a che Walburga scoprì il doppiogioco e si esiliò come infermiera in Dalmazia, dove morì nel 1917. Klimt morì poco dopo. Ictus e polmonite portarono via uno dei massimi esponenti della cosiddetta secessione viennese. Fu proprio Schiele a trovarlo morto nel suo studio nel febbraio 1918. Dopo aver seppellito anche Edith, il 31 ottobre 1920 l’influenza spagnola portò via il pittore dell’assurdo. Tuttavia, per Schiele la vita era finita ben prima del suo addio terreno. Le tre figure più importanti della sua vita erano scomparse nel giro di un anno. Finita la Belle époque, oramai squattrinato e sempre più tormentato, errante e paranoico l’énfant terrible della scuola austriaca capì che il suo mondo era al crepuscolo. D’altronde, il fine-vita, l’eremitaggio, l’agonia, li aveva dipinti per anni.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su Corriere dell’Italianità)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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